Che la fusione tra Corigliano e Rossano sia stato un percorso divisivo è chiaro e lo era addirittura nelle cose, prevedendo al suo passaggio intermedio un referendum, ma che avesse il difetto di far emergere il peggio che le due comunità riescono ad esprimere, questo no, questo non era contemplato.
Tutti sappiamo bene come sia finita, almeno finora, questa storia:
vince il Si, perde il No, vuol dire che la fusione, stante così le cose, si dovrà fare.
Assodato questo, ciò non significa però che chi ha pensato fino al momento referendario che la fusione fosse un cattivo affare per i due paesi, dopo il referendum preso atto dell’esito, debba per virtù dello Spirito Santo, cambiare idea e quindi diventare conseguentemente assertore convinto della fusione, perché sarebbe contraddittorio oltre che stupido pensarlo.
E ancora men che meno che non abbia ragione ad esistere chi pensa, diversamente dalle 100 associazioni, che il tempo sia l’ingrediente principe che, assente finora, serva per costruirla al meglio, questa fusione.
Quello che non va bene è che le fratture che si sono create durante la battaglia referendaria, restino vive ed anzi si approfondiscano ulteriormente portandosi dietro uno strascico di polemiche e di rabbia ingiustificata ed ingiustificabile, al punto da obnubilare i cervelli!
Anche così, tuttavia non si possono giustificare attacchi mirati “ad personam” che sconfinano nella vera e propria diffamazione personale, perché oltre che a ledere l’immagine e la figura della controparte si usano raffigurazioni denigratorie e perfino sessiste dimostrando di non avere più a disposizione alcun argomentazione nel merito e nascondere tale fragilità culturale destreggiandosi con argomentazioni da bar sport che la dicono tutta sulla qualità di questa controparte.
Atteggiamenti di questo tipo, esulano dallo specifico e sconfinano nella vera e propria aggressione verbale che ha il sapore di intimidazione e di minaccia per chi liberamente e motivatamente esprime il proprio punto di vista, seminando nella comunità odio e divisioni che danno ulteriormente ragione a chi afferma che la fusione tra due comunità va costruita prima negli animi, nel comune sentire e nella cultura collettiva e poi nelle carte e nella burocrazia.
Mario Gallina, Comitato Cor Bonum