(Pubblicato sul quotidiano “il Giornale” del 26 11 2018)
Nel 1942,essendo giunto all’età di nove anni senza aver ricevuto il sacramento del battesimo,posi l’aut aut ai miei genitori,onde porre fine agli sfottò di quelli che attribuivano la mia vivacità ed i miei atteggiamenti scontrosi,a volte,non rigorosamente convenzionali, alla mancanza di questo “lavacro”.Pensate,volevo diventare… “buono”. Convinto che fosse urgente farlo,dissi che volevo uniformarmi a tutti gli altri miei coetanei.
In verità il motivo della lungaggine c’era.Padrino era stato,da sempre,designato un lontano parente “di molto riguardo” che abitava a Cosenza e,date le difficoltà del tempo,non riusciva a conciliare i suoi “impegni” con la trasferta.
La mia insistenza ebbe l’effetto sperato e,finalmente,fu stabilita la data.Madrina doveva essere Grazia Aceto,che abitava sopra di noi,ed alla quale ero legato da un affettuoso rapporto. La cerimonia,essendo la mia famiglia di religione Greco-Cattolica, si doveva svolgere nel paese dei miei:Vaccarizzo Albanese.
E venne il giorno fatidico.Ed io,in un modesto corteo,mi recai,a piedi,in chiesa,con una bella divisa bianca da “pilota” che mi era stata cucita appositamente dal sarto,ricorrendo al modello in uso per… le comunioni (eravamo in piena guerra e la divisa militare era considerata abito da cerimonia).
Data l’età non subii l’immersione nell’acqua del fonte battesimale, come prescritto dal rito bizantino, ma la semplice aspersione. E fui fatto “Cristiano”. Ma col passar del tempo mi accorsi che non godevo di nessuno dei “vantaggi” sperati.Anzi,diventavo sempre più vivace e “disubbidiente”,cioè non ero “addomesticabile”. Il padrino mi aveva regalato,in un astuccio,una penna stilografica ed una matita portamine,entrambe “d’oro”. Quando arrivai alla prima media,in un momento che,causa guerra, mancava tutto,come cancelleria e supporti per scrivere,chiesi a mio padre se potevo usare la penna del padrino.
Mi rispose di no,perchè era una penna d’oro,e non potevo usarla in ambito scolastico,col rischio di farmela rubare. E siccome insistevo,mi diede anche un paio di ceffoni. Però,mio padre,sfiorato dal dubbio,portò la penna ad un gioielliere per verificare se era veramente d’oro.
La sua delusione fu amara.Non tanto per l’insignificante valore,ma per la malriposta fiducia nel parente di “molto riguardo” che,con incredibile disprezzo per i “parenti di provincia” aveva effettuato l’acquisto alle bancarelle del “Lungocrati” di Cosenza.
Ed io,ora che mio padre,finalmente, avrebbe ceduto sull’uso di quella “dannata” penna,mi rifiutai,orgogliosamente,di usarla.E la conservo ancora,intonsa,priva di marchio,nel suo astuccio,dove non figura alcun logo del rivenditore. Proprio da …bancarella.
Comunque,bene o male,il parente di molto riguardo,mi aveva fatto “Cristiano” e,nel Sud,questo avvenimento assumeva un‘importanza fondamentale sui futuri comportamenti sociali ispirati all’esempio del padrino che diventava punto di riferimento morale.
A distanza di un anno andai,con i miei,a Cosenza dove,tra l’altro,mi furono comprate delle bellissime scarpe che volli calzare subito. Alla partenza dell’autobus,inaspettatamente sopraggiunse il “padrino”, più che altro per informarsi sulle condizioni del tempo a Corigliano, essendo lui,“massaro”,proprietario di tanti ettari,proprio a Corigliano.
Non mi fece nemmeno una carezza.E quando mia madre disse che mi avevano comprato le scarpe nuove,finalmente mi rivolse la parola: “che numero di scarpa”. Ed io : 37 e mezzo.Mi guardò quasi schifato: “non esistono i mezzi numeri” e,con aria di sufficienza,troncò ogni dialogo con me,continuando a parlare solo con i miei.
Ed io,che ero certissimo di quel dato che,peraltro,era inciso anche sulle suole,mi resi conto della pochezza di quell’essere,corpulento incolto e rude “massaro”,la cui vita di scapolo programmato (nella loro famiglia solo uno dei fratelli si doveva sposare,per non dover spezzettare l’entità del patrimonio:tutti per uno) era scandita dal prezzo del grano,dei caciocavalli e delle mozzarelle.Cioè peggio del “maso chiuso”dell’Alto Adige dove gli altri fratelli non partecipano,è vero, alla divisione dell’asse ereditario,però non sono costretti a rinunciare alla gioia di sposarsi e di…avere figli.
Che bel faro morale mi avevano scelto.
E fu la volta che lo rimossi completamente dalla mia memoria. Dopo una trentina di anni (avevo lo studio d’ingegnere a Cosenza), incontro,assai trafelati,sul corso principale,mio fratello e mio cugino Ciccio,che andavano al funerale… del mio “padrino”.Mi “intimarono” di accodarmi per rendere omaggio al “parente di molto riguardo” e, cosa molto importante,mia “guida morale”,perchè mio padrino. Per non fare polemiche superflue,dissi di andare avanti che subito li avrei raggiunti…”E mi guardai bene dal farlo.Figuriamoci.
E quando poi dovetti dare spiegazione del mio comportamento più che “scorretto”,faticai a far capir a loro le mie motivazioni ed il mio risentimento nei confronti di quel “massaro”che,a ruoli invertiti,io non ritenevo all’altezza del mio livello culturale e,specialmente,“morale”. E fu così che il il risparmio effettuato sulla mia penna “d’oro” andò a favore della conservazione del patrimonio di quella famiglia che, oggi,paradossalmente e ridicolmente,mi sento di aver contribuito a “consolidare”. Mi costò due “ceffoni”,è vero,ma cosa vuoi che sia in confronto della felicità arrecata a nipotini e nipotine,di quella “furba” e “fessa” famiglia,investiti da tanta …“Grazia di Dio”.
C’è un saggio proverbio calabrese che usava ripetere mia madre: “da chi non ha figli… nè per soldi nè per consigli”.
E fortunatamente mai,nella vita,avemmo bisogno di chiederne,a nessuno.Figuriamoci a chi non aveva …figli.
Ernesto SCURA