Rimango sempre più affascinato e arricchito nel rileggere le belle poesie del poeta coriglianese Domenico GODINO (detto MECO). Fresco di stampe e appena pubblicato presso la stamperia “rilegando” di Corigliano dicembre 2020, con ulteriore e inedite poesie: la poetica godiniana mi riporta agli anni settanta,
quando seguivo i corsi di Letterature Comparate con il grande poeta Mario LUZI sul rapporto poetico tra Charles BAUDELAIRE et Edgar Allan POE presso la prestigiosa Università di URBINO. Leggendo la sua ultima fatica letteraria, intravedo un nesso inscindibile tra poesia e sofferenza interiore, perché nessuno meglio di un poeta come Godino che soffre sa elevare in versi le sue angosce, le sue paure, i suoi patimenti; sembra quasi che per piacere e per attirare l’attenzione degli animi più sensibili, una poesia debba nascere da un dispiacere profondo, debba essere l’espressione di un animo inquieto e tormentato; sembra quasi che il suo dolore sia materia di ispirazione per chi si accinge a scrivere e che il poeta sia destinato a soffrire per rendere felici i suoi cari attraverso i suoi versi (sua madre Carmenia, suo fratello Santino prematuramente scomparso), ma soprattutto la sofferenza dei suoi familiari, in modo particolare suo papà VITO. Per la gioia di quanti amano la poesia, probabilmente il poeta Godino, non ci avrebbe regalato queste belle e sentite poesie, così toccanti, frutto della sua sofferenza. Queste condizioni esistenziali difficili, stabiliscono, molte volte, la base di emozioni straordinarie, in quanto la poesia trasmette sempre felicità, anche quando scaturisce dal dolore, in sostanza possiamo affermare che nella poesia godiniana, non è la sofferenza o l’intimo travaglio ma l’energia e la bellezza delle parole che ci esaltano e ci inebriano, indipendentemente dal loro contenuto di tristezza, pertanto, vale la pena, trarre vantaggio e piacere dalla sofferta esperienza di vita di chi sa nobilitare le sue pene attraverso la poesia, dato che nessuno meglio di chi è stato infelice può darci insegnamenti di quotidiana felicità.
Quando leggo “sempre caro mi fu quest’ermo colle…”, non avverto il dolore del poeta, non ripercorro il suo pessimismo, al contrario rimango estasiato di fronte alla potenza dei versi ed alla bellezza delle descrizioni. Ecco, quindi che la poesia, che nasce dal dolore, diventa per me un momento di gioia, tutto ciò non significa che io sia indifferente al dolore. Posso anche capire ed immedesimarmi nella poetica e nella sofferenza godiniana, in questo caso io percepisco solo la sublimazione della parola, la sua vitalità che mi fa dimenticare da cui scaturisce. Nella poetica godiniana, “Meco” tocca tante tematiche e mette a fuoco tante sofferenze e tante ingiustizie, riportandoli in versi, cercando di coinvolgere chi legge attraverso la sua rabbia e la sua indignazione.
Le poesie di Domenico GODINO, sono un verbo immacolato, una riserva di consapevolezza e di felicità nell’ascolto, in quanto chi ascolta scopra chi è e sappia ascoltare sempre meglio, il pensiero e l’espressione del nostro essere, la sofferenza esiste come dato originario: essa ha a che fare con la nascita e con la morte, con il tempo e con il mutamento.
Bellezza e felicità vanno spesso braccetto, e si scrive per tormenti ma anche ebbri di gioia ma anche chi scrive, scrive come respira, per default, quindi è vero che per scrivere devi avere in quel momento uno stato di rabbia o dolore o fastidio profondo.
Prof. Giovanni FERRARI
Dipartimento di Economia, Società, Politica
Università degli Studi di URBINO “CARLO BO”