(Pubblicato sul quotidiano “il Giornale” del 04 Dicembre 2018)
Nel Gennaio del 1940 (avevo sette anni non ancora compiuti), si presenta a casa nostra un giovane elegantemente vestito, dai tratti certamente non meridionali,biondiccio e ben pettinato. Saluta educatamente mia madre e poi,con tatto ed accortezza dice a mia madre :“noi siamo cugini.Io sono figlio naturale di quell’Elmo,arbëresh,fratello di tua madre,emigrato negli Stati Uniti nei lontani anni ‘20.
Mia madre rimane frastornata e confusa poiché,pur ricordando perfettamente quello zio emigrato in America,non era per nulla a conoscenza di figli “illegittimi”.E Antonio (Totonno,come vengono chiamati in Calabria))raccontò dettagliatamente a mia madre,e noi bimbi diligentemente ad ascoltare l’incredibile storia:
”In quegli anni,nelle famiglie che godevano di un certo benessere, con agiatezza patrimoniale,era in vigore la“barbara”consuetudine (peggio del “maso chiuso”) per la quale soltanto i primogeniti si si sposavano,ereditando la quasi totalità dell’asse ereditario,e salvaguardando quindi la totalità dell’asse che,nella sua interezza trovava una collocazione tradizionalmente sotto quel nome di famiglia.I figli “cadetti” potevano disporre di quel benessere “vita natural durante”,ma non ne divenivano mai proprietari.
Potevano,a piacimento,condurre vita casta o dissoluta,ma per una scelta tradizionalmente accettata. Totonno spiegò a mia madre,che suo padre,sfigato epigono di quella “barbarie” si adeguò convivendo con una donna che oltre ad accudirlo amorevolmente,gli dava figli che,di consueto, venivano affidati a famiglie di altri paesi (Corigliano) che in quei figli adottivi riponevano la speranza di poter disporre di braccia possenti per mandare avanti la famiglia una volta che avessero raggiunta l’età per poter lavorare.
E Totonno ebbe la fortuna di trovare una famiglia che veramente lo trattò come un figlio.
Ma venne il giorno in cui il papà,che intanto con la donna aveva trasformato il “more uxorio” in matrimonio,riconobbe la sua paternità nei confronti di Totonno,sollecitando il ricongiugimento. E cominciò ad inviargli soldi ed avviando la pratica di ingresso in America rafforzata da un matrimonio “per procura” che assicurava quel diritto.
Nel frattempo,pur disponendo dei generosi aiuti in dollari che il papà gli inviava a ritmi serrati,Totonno volle impegnarsi in un lavoro che confermasse la la sua innata indole all’impegno. E mio padre fu ben lieto di assumerlo come bigliettaio in sevizio sull’autolinea urbana in concessione,ruolo che assolveva con adeguatezza di modi e capacità.
E la cosa durò quasi un anno, con infinita gioia di noi bambini che vedevamo in quel “parente” il modello del “ricco americano” fornito di tutti quei supporti che destavano l’invidia dell’italiano medio:occhiali da sole,orologio al polso,macchina fotografica a tracolla nel “fuori servizio” o, immancabilmente,durante il servizio balneare,le cui foto sono per me,ancora oggi,la testimonianza di quel tempo andato,che lui puntigliosamente memorizzava caricando l’autoscatto (aggeggio per noi,allora,avveniristico) e,correndo velocemente nel gruppo immerso in acqua,s’immergeva risultando,spesso,ripreso di spalle, ma,comunque,vicino a mio padre,che lui stimava tantissimo,e vicino a me,bambino,che annaspavo in una camera d’aria da pneumatico che mio padre,diligentemente aveva trasformato in“ciambella”di salvataggio trasferendo,con delicato intervento divulcanizzazione, la pungente valvola di gonfiaggio,dall’interno all’esterno.
E poi l’elegante portasigarette d’oro ed il bocchino d’argento. Insomma quasi un inconsapevole “esteta” appassionato anche di cinema da cui,con malcelato orgoglio,teneva a far notare una sua,in qualche modo,rassomiglianza con Clark Gable di cui,se vogliamo,richiamava un po’ le fattezze che lui non disdegnava di affinare,aggiustandosi i baffi sul modello del grande attore. Tutto filava liscio mentre lui accarezzava il suo sogno americano. Ma il diavolo ci mise la coda e,nel frattempo,scoppia la guerra.
Totonno,non era ancora cittadino americano,viene richiamato,in Italia,sotto le armi,e viene fatto prigioniero,in Africa,dagli ancora non connazionali americani,e si fa una bella prigionia di cinque anni,probabilmente proprio negli Stati Uniti e,per potersi alla fine ricongiungere con la legittima sposa,dovrà prima rientrare in Italia,reduce dalla prigionia e poi,finalmente,dopo una ulteriore penitenza italiana di oltre un anno,il ricongiungimento.
Ed io che,nel frattempo,parallelamente ,vivevo questa sua lunga penitenza,passando dall’infanzia all’adolescenza ed alla gioventù, posso ben dire di aver vissuto una storia incredibilmente sofferta, con risvolti a dire poco dolorosamente istruttivi sui possibili casi con cui la vita,a volte,mette a dura prova la pazienza,la resistenza e la sopportazione di un uomo,per quanto tenace possa essere. Se non è beffa questa,ditemi voi,per favore ,che cos’è.
Ernesto SCURA