“Subito dopo le feste di Natale, gruppi di giovani si riunivano in un vano a piano terra ed iniziavano la preparazione delle quadriglie di Carnevale. Le riunioni avvenivano il pomeriggio di domenica o la sera dei giorni feriali dopo che i giovani erano rientrati dalla campagna o si erano ritirati dalle botteghe artigiane, dopo c’avijina scapulatƏ. La preparazione delle quadriglie, nelle sue molteplici figurazioni, era lenta, seria e scrupolosa”.
È quanto scriveva il professore Antonio Russo, indimenticabile storico coriglianese, nel tracciare un prezioso ritratto di uno dei momenti più caratteristici della storia e delle tradizioni cittadine: il Carnevale e la sua attesa. Un vero e proprio ‘affresco’ utile per meglio comprendere la ‘ricchezza’ di saperi e sapori della nostra comunità.
“L’orchestra era composta generalmente da fisarmonica, chitarra, violino e mandolino, ed i balli che di solito venivano eseguiti erano la polca, la mazurca, il tango e la tarantella calabrese (per questo ballo era necessario il suono ritmato ‘i ri tnmmarinƏ). Quando la preparazione tecnica e la parte coreografica erano quasi completate, i giovani iniziavano la discussione sulla scelta dei costumi da indossare, scelta che quasi sempre ricadeva su quelli tradizionali coriglìanesi, qualche volta su quelli dei vicini paesi albanesi e, solo raramente, su costumi e maschere di altre regioni. L’ultima domenica di carnevale, giorno di debutto delle quadriglie, per le strade di Corigliano vi era una gran festa. Le esibizioni – scrive Antonio Russo nel testo pubblicato dal professor Giovanni Scorzafave sul suo sito di storia locale www.coriglianocal.it – avvenivano in tutte le principali piazze e, solo in casi particolari ed a richiesta, in case private. Le quadriglie erano comandate o con una serie significativa di colpi ritmici battendo il piede a terra o con la voce ed in questo caso i comandi venivano dati in francese, un francese nato in Francia ma cresciuto nelle vinelle di Corigliano. E così, “au contraire” diventava “e ccuntrè”, mentre “autour de moi” veniva trasformato nel bellissimo “e tturdumè”; gli altri più usati comandi erano: “e ballƏ ‘nza, e rrullè, e ggran scè, e a ra promenè”. Durante il periodo di carnevale per le strade si incontravano anche molti ragazzi e giovani in maschera con costumi rimadiati nelle casse delle nonne (juppiinƏ, farigghjƏ, sinalƏ, frazzuluttunƏ o in quelle dei nonni (vecchie divise militari, vecchi abiti di fustagno, vigogna, velluto con il relativo gilè, vesti sacerdotali). Il martedì, ultimo giorno di carnevale, c’era la processione i carnaliverƏ muortƏ: un carro trainato da buoi o una carretta tirata da cavalli, trasportava per le strade principali una bara con dentro GrigolijƏ-CarnaliverƏ. I parenti più stretti, fra cui la vecchia ed allampanata Quarajisima, vestiti a lutto seguivano il feretro ed in lacrime chiedevano, con voce straziante, comprensione e conforto con opere di bene: vino e salsicce. Questo rito di carnevale (la processione) è stato da pochi anni ripristinato, mentre le quadriglie hanno fatto le loro ultime apparizioni la fine degli anni Cinquanta. La cena del martedì -a sir’azatƏ nella quale non mancavano mai le polpette, chiudeva i festeggiamenti di carnevale. Se qualcuno mangiava polpette o carne il mercoledì, giorno delle Sacre Ceneri, si diceva che aveva ruttƏ ‘a càpƏ i a QuarajisimƏ, non aveva, cioè, rispettato il digiuno che doveva essere osservato tra la fine del carnevale e la Pasqua”.
Fabio Pistoia