(Pubblicato dal quotidiano “il Giornale” del 4 settembre 2018)
Fu una tarda sera del freddo inverno del 1943.A casa nostra eravamo tutti,papà,mamma ed i tre figli,accovacciati attorno al braciere dove ardeva lentamente la carbonella,cercando di carpirne gli ultimi tepori prima di andare al letto. Bussano alla porta,ad un’ora insolita,specie in quei tempi. Mio padre fa cenno di non muoverci e va lui ad aprire. Evidentemente sapeva chi era e perchè veniva a quell’ora.
Udimmo un brevissimo parlottare e intanto,mia madre,che già doveva essere al corrente di cosa stava succedendo,mi chiama in cucina e mi mette in mano uno dei nostri pani da due chili, che confezionava lei con la farina che un compiacente mugnaio ci forniva,di contrabbando,dicendo di portarlo a mio padre.
Con grande curiosità,nel dare il pane a mio padre,cercai di vedere,attraverso lo squarcio di luce,la persona che lo riceveva. Era un distinto signore che avevo avuto occasione,tante volte, di notare nello svolgimento della sue mansioni di agente del dazio di consumo.E conoscevo i figli.
Quella sera aveva un viso pallidissimo,certo anche per la fame, ma ne sono sicuro,più che altro per l’umiliazione alla quale si stava sottoponendo.Sentii che ricusava l’invito di mio padre ad entrare,cercando di porre termine,il più presto possibile, a quella operazione che volle connotare come transazione.
Consegnò a mio padre un fiasco di un distillato di uva che si produceva al suo paese d’origine,una squisita grappa che mani esperte sapevano distillare.Mio padre si schermiva cercando di rifiutare quel dono che,peraltro,era di un valore di gran lunga superiore …ad un pane.
Ma il lato paradossale fu che mio padre,astemio assoluto, si limitò ad assaggiarla soltanto,e la tirava fuori nelle occasioni più importanti,ancora per anni dopo la fine della guerra. Ecco,questo fu per noi la guerra.Non bombe ma fame e privazioni e,a volte,umiliazione.E,nonostante tutto,siamo ancora quì a parlarne.Per fortuna.
Ernesto SCURA