Siamo nel mese della Santa Pasqua. Festività religiosa per eccellenza, accanto al Santo Natale, attesa dalle famiglie e vissuta ancor oggi con entusiasmo e intensità.
Emozionanti, a tal proposito, sono alcuni “affreschi” di storia e tradizioni afferenti tale periodo dell’anno che ci sono stati tramandati dall’indimenticabile professore Tonino Russo, storico innamorato della “sua” Corigliano.
“La sera del giovedì santo – racconta Russo – per le strade di Corigliano c’è un viavai di gente che va a visitare i sepolcri, a ggiràrƏ ‘i subburkƏ, allestiti in tutte le chiese, fatta eccezione per quelle ‘i ri RiformƏ, Nostra Signora di Costantinopoli, ‘i ri MonachellƏ, Santa ChiarƏ e di San GiuvannƏ ‘i DdijƏ, Nostra Signora del Rosario, che vengono aperte al culto o la sola domenica per celebrarvi la Santa Messa o in occasione della festa dei santi titolari. Da qualche anno, rimane anche chiusa la primiceriale e parrocchiale chiesa di San Giovanni Battista (San Jacopo Maggiore Apostolo), perché sconsacrata e adibita a circolo ricreativo dell’azione cattolica. La parrocchia è stata trasferita nella chiesa di San Francesco di Paola. Su un gradino di uno degli altari della chiesa si mette un’urna di metallo dorato in cui viene riposto il SS. Sacramento, urna che viene adornata ed abbellita con vasi di fiori e con i tradizionali lavuriellƏ. I lavuriellƏ o lavuricchjƏ sono dei piatti di varia forma con dentro semi fatti germogliare e crescere – sino a raggiungere una ventina di centimetri di altezza – in un luogo buio ma ben arieggiato (e ciò spiega il colore verde pallido dei germogli). I germogli vengono tenuti insieme con una legatura allentata fatta con un nastro di seta colorato, largo un cinque centimetri, sul quale viene spillato un cartoncino bianco recante nome e cognome della donna che porta ‘u lavuriellƏ come offerta al sepolcro. Per preparare ‘u lavuriellƏ si prende un piatto di portala, preferibilmente rotondo, si copre il fondo con stoppa o bambagia inzuppata di acqua e sulla stoppa si stende uno strato uniforme di semi fatti già ammollire in acqua per ventiquattro ore. Poi si ripone, come ho già detto, il piatto così preparato in un luogo buio ma arieggiato e si lascia germogliare. Il tempo di germinazione è strettamente connesso con la natura dei semi: così per la veccia, vizza, per i ceci, cìcirƏ, per il miglio, migghjƏ, occorrono sette settimane; per il grano, rànƏ, ne occorrono quattro. Il tempo di germinazione per i semi sopra citati, si riduce a quattro settimane quando i lavuricchƏ vengono fatti germogliare entro contenitori di legno sagomati a forma di croce o di cuore. Per la preparazione dei lavuriellƏ non vengono mai adoperati i lupini, perché, secondo la tradizione, la pianta – che scampanella quando è secca – è stata maledetta dalla Madonna durante la sua fuga in Egitto con Gesù Bambino e San Giuseppe. Venerdì mattina le donne ritirano dalle chiese i lavuriellhƏ benedetti, li portano a casa e ne fanno dei piccoli fasci che distribuiscono alle amiche del vicinato. Quest’antichissima tradizione, che era quasi completamente scomparsa, da un paio d’anni mostra evidenti segni di ripresa”.
Altro aspetto interessante delle festività pasquali ci viene, invece, narrato dal professore Giovanni Scorzafave, raffinato cultore di storia e memorie coriglianesi.
“Alle 12 in punto del sabato santo, durante il suono delle campane, la mamma con i figli – scrive Scorzafave – si inginocchiavano, e faccia a terra recitavano delle preghiere dedicandole al Cristo risorto. Poi si alzavano, si lavavano il viso recitando la filastrocca: Acqua santa bbiniritta ghija mi l’avi e mmi rissicchi, si rissiccassiri pur’i piccati ‘i chill’ura chi sugni nati. Infine, si scambiavano gli auguri e le mamme distribuivano ai figli i dolci di Pasqua: ‘u pisatura ai maschi e ra cullùra alle femmine”.
FABIO PISTOIA