di Papàs Elia Hagi, parroco di Vaccarizzo Albanese
Solo Cristo, il Maestro, all’età di 12 anni, giunto nel Tempio, nella casa del Padre suo, insegnò ai rabbini lezioni di esegesi biblica. Tutti gli altri, a cominciare dai suoi discepoli più ardenti,
divennero sapienti nel tempo, verso la fine della vita, con la fronte calva e la pelle screpolata dallo sforzo ascetico. Sul monte Athos, ancora oggi, “gheronda” (vecchio) è il prefisso onomastico sognato da tutti i discepoli: non c’è altra ipostasi più vicina alla santità, quindi a Dio stesso. Lì essere “vecchi” significa, oltre il fatto anagrafico, essere riconosciuti per umiltà, mitezza, amore fraterno e sforzo costante di fare il bene. Come sembra lontana dai miei quarantacinque anni quella formidabile spiritualità quando tento di scrivere dall’altezza della mia povera vita qualche considerazione e analisi alla luce del cristianesimo! Che enorme quantità di presunzione. Spero sia perdonato dal lettore. Siamo dei nani sulle spalle dei giganti.
Le restrizioni in corso dovute alla pandemia mi hanno evocato l’Odissea di Omero, specialmente l’immagine in cui Ulisse è raffigurato legato al palo dell’imbarcazione che galleggia sulla superficie liquida dei mari, come icona dell’uomo che deve resistere alle tentazioni. Quando chiediamo al Padre celeste: “non abbandonarci alla tentazione”, possiamo pensare all’immagine di Ulisse legato all’albero maestro. I cristiani dei primi secoli assimilarono l’albero maestro alla croce e la nave alla chiesa. Le sirene chiamano tutti, tutti vorremmo la pienezza di vita di prima. Le feste, la socializzazione, i convitti ci attirano perché fanno parte della natura umana. I filosofi platonici, contemporanei dei cristiani videro nel viaggio di ritorno di Ulisse un’allegoria del ritorno dell’anima al mondo divino. Noi possiamo leggere anche una speranza meno trascendente. Il significato di tutte queste privazioni si spera possino portare al ritorno nel mondo di prima. Un ritorno alla normalità.
Nella chiesa cattolica si è appena festeggiata l’Epifania. Si parla infatti della manifestazione del Cristo. Dinnanzi ai Magi che lo vanno ad adorare Egli si manifesta dunque come Dio. Successivamente si manifesta al mondo nel momento del suo battesimo a opera di San Giovanni.
Nel festeggiare il Battesimo del Signore nel fiume Giordano, i Padri della chiesa chiamavano lo specchio d’acqua nel quale Gesù si è immerso per poi riemergere: ”sepolcro liquido”. Interpretarono il battesimo come una chiara anticipazione della morte e risurrezione di Gesù e questo resta tuttora il significato simbolico del gesto nel rito bizantino del battesimo per immersione. Abbiamo nella fede, sí la certezza della morte ma anche della risurrezione e di una futura vita beata in comunione con Dio. Bauman parlando di ”modernità liquida”, intendeva il cambiamento come l’unica cosa permanente nella società moderna. ”L’incertezza è l’unica certezza” è la sintesi del suo pensiero. Il covid19 ha palesato con forza la verità della visione del sociologo polacco. Ogni giorno cambia qualcosa, c’è chi è ristretto a casa in quarantena, c’è chi vive l’ansia del tampone o dell’inoculazione.
Un barlume di effervescente dinamismo la da la stagione dei saldi appena inaugurata. Fa del consumo un ”Sacre du printemps” stravinskiano. Un rituale di autorigenerazione permanente, riciclando il desiderio e fissando l’attenzione sui suoi oggetti sempre nuovi. La nostra immaginazione, ça va sans dire, è quasi completamente mercificata. Ritirare i beni, pagarli, anche attraverso i cicli del credito bancario, consumarli dopo la loro ostentazione sociale – ecco un vero e proprio atto liturgico laico. Questi i tempi moderni: vissuti nell’incertezza, legati alla croce, ma con la speranza di una prossimo ritorno alla normalità sorretta da piccole consolazioni materiali e dalle grandi promesse battesimali che nella fede danno forza e significato alla vita.
foto: Mosaico romano raffigurante Ulisse e le Sirene, II-III secolo d.C. Museo del Bardo, Tunisi