Quello che accade lungo gli argini dei fiumi calabresi ha molto a che fare con il caos legislativo e la noncuranza. Quello che è accaduto e gli accertamenti in corso – sullo stato d’abbandono degli alvei fluviali e dei torrenti, sulla mancanza di interventi – rappresentano soltanto una parte del problema, che investe praticamente tutti i corsi d’acqua della regione e, in assenza di interventi di sistema, è destinato a fare altri (e consistenti) danni.
Era tutto scritto. Libera (che è l’associazione nata 20 anni fa con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia) ha depositato, più di un anno fa, in tutte le Procure calabresi un libro bianco con l’elenco degli interventi edilizi realizzati in zone R3 e R4 dopo il 2000. Sono migliaia e migliaia di abitazioni: alcune appartengono al gruppo delle 120mila costruzioni abusive censite dall’Agenzia del territorio, altre sono esempi inediti dell’attitudine calabrese al mancato rispetto dei vincoli. Attitudine diffusa a tutti i livelli: nel lunghissimo elenco ci sono anche opere pubbliche. Depuratori, per la precisione. Sono stati realizzati in aree off limits, proprio dalle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare. E se non ci pensano gli enti pubblici a “censurarsi” in questi casi, perché dovrebbero pensarci i cittadini? La risposta è in due video amatoriali allegati alla denuncia (uno pubblicato da Youreporter), che mostrano le conseguenze di tanto caos urbanistico (e legislativo). Il lungomare di Corigliano si trasforma in una piscina. Sembrano i postumi di un’onda anomala: non ci sono più strade, le radici delle palme sono coperte per intero, le automobili per metà. L’atmosfera è surreale, sospesa: si sente soltanto il rumore del mare. Tutto è inaccessibile: non si può mettere piede nei garage al piano terra; i chioschetti, a pochi passi dal mare, sembrano dover galleggiare da un momento all’altro. C’è solo uno spicchio di spiaggia agibile, sul resto del panorama ci si potrebbe muovere soltanto con un gommone. Non è un caso (e infatti succede spesso): l’esposto depositato da Libera lo spiega bene. Capita «ogni anno» che «una vasta area del territorio di Corigliano è soggetta ad alluvioni causate da torrenti che aumentano sensibilmente la loro portata ed esondano, allagando diversi edifici e mettendo a serio rischio la vita di migliaia di persone». Già, perché anche sui termini è bene che ci si intenda: per le costruzioni nelle zone cosiddette R4 c’è il rischio di perdita di vite umane. Anche nel novembre del 2013, «queste zone sono state sommerse da metri d’acqua e solo la casualità ha fatto sì che non ci siano state vittime». Il “caso Corigliano” è un esempio, in piccolo, di ciò che accade in Calabria: soltanto nei pressi della foce del Coriglianeto, «sono stati rilevati complessivamente oltre 200 edifici realizzati contra legem, dei quali circa 130 edificati dopo il 2000, o comunque attorno a quell’epoca, e oltre 70 dopo il 2006». E il dato è sottostimato, perché mancano fotografie aeree e immagini satellitari successive al 2012. Il fatto è che, nella Sibaritide, alcuni hanno scambiato gli alvei dei fiumi per una loro proprietà privata. E Corigliano non è l’unico esempio, ma è forse quello potenzialmente più pericoloso. In un’altra area, che si trova lungo il torrente Leccalardo, c’è una vasca di laminazione (si tratta di un’opera idraulica che viene realizzata per ridurre la portata dell’acqua durante le piene) che è stata “privatizzata”. Lo scrivono sempre i volontari di Libera, specificando che un proprietario terriero se n’è «abusivamente appropriato» e «oltre a colmare la vasca con piantagioni di agrumi, vi ha realizzato addirittura un edificio in muratura». Quella zona, dunque, non serve più a smorzare gli effetti di un’alluvione ma semmai ad amplificarli. E questo nonostante quel fazzoletto di terra sia vicino a un’area molto popolata e nei pressi di un centro commerciale. Ogni anno, puntualmente, arrivano gli allagamenti, anche quando le piogge non sono troppo forti. Figuriamoci per un nubifragio durato una notte intera. I fiumi calabresi sono abbandonati a se stessi: scarsissimi gli interventi per la manutenzione degli argini, quasi nulli quelli per la pulizia degli alvei. Alla base c’è un’inerzia istituzionale che potrebbe essere la principale attrice anche negli altri fenomeni alluvionali che hanno colpito la Calabria. regione, province e comuni si rimpallano le responsabilità in uno scaricabarile sancito dalle leggi. L’attività di manutenzione degli argini e di “pulizia idraulica” è attribuita alle province e ai comuni (per via della legge numero 34 del 2002). Le prime si occupano della realizzazione e manutenzione delle opere idrauliche, i secondi dei piccoli interventi finalizzati alla difesa del suolo e al pronto intervento idraulico. Non è tutto: interviene, infatti, a complicare le questioni, una delibera di giunta regionale del 14 settembre 2010 che attribuisce al Presidio territoriale idrologico e idraulico della regione Calabria la manutenzione e i servizi di controllo e monitoraggio degli alvei. Tutti sono competenti, resta da capire chi interverrà per fare qualcosa.
Giacinto De Pasquale