Da un’altra Italia, quella del nord, un’amica affettuosa e memore, mi scrive così: “Calano già le prime nebbioline autunnali, che par si confondano, a tratti, col fumo delle ciminiere industriali e con gli scarichi dei motori. Però, sto bene. Vivo”. Io, da quest’altra Italia, questa del sud, altrettanto affettuosamente memore, le rispondo così:
“Son belle ancora le giornate di sole, da noi, e brillano le stelle, su una pianura ove s’ingrossano aranci ed ulivi, tra un mare azzurro e una collina in fiore. Però, non sto bene. Sopravvivo. Sono, nonostante tutto, un fortunato tra i pochi fortunati, perché tanti altri, molti altri, stremati, lentamente spengonsi, come il tenente Drogo del ‘Deserto dei Tartari’, nell’attesa di ciò che mai arriva”. Ma! Certe volte, penso a come staremmo, se non fossero venuti, un secolo e mezzo fa, Garibaldi e i Piemontesi, a portarci strade e ferrovie, porti e aeroporti, scuole e ospedali, frigo, radio e motoretta, con tanto di agnolotti e di barolo.