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Mio padre

Posted on Aprile 7, 2018 By Redazione


Nato nel 1894,mio padre,ultimo di cinque figli,i primi tre femmine e gli ultimi due maschi,rimase orfano di padre,alla tenera età di 5 anni. E,in un paesino,qual era Vaccarizzo Albanese, fu miseria nera quella contro cui dovette combattere quella povera vedova di mia nonna. Ma non si arrese.

Tirò avanti tra mille sacrifici pur di potere, come prima cosa,maritare dignitosamente le tre femmine. Poi,assolti i primi tre anni di elementare,mandò i maschietti ad imparare il mestiere da un cugino falegname.
E siccome il cugino falegname,pur bravo,tanta voglia di lavorare non l’aveva,finì che addossò a quei “due orfanelli” quasi tutto il lavoro di routine,riservandosi quello che richiedeva più mestiere.E,come se non bastasse,i due dovevano anche provvedere a rifornire di acqua l’amante del maestro,andando a riempire,alla non vicina,unica,fontana del paese,gli orcioli di “Madame”.
Fino a quando mia nonna,passando,casualmente,davanti all’uscio di quella “matrona”,trovò mio padre,sotto la pioggia, intirizzito dal freddo ed inzuppato che,seduto sul gradino di quell’uscio,aspettava che “madame”tornasse da chissà dove.
Immaginate come reagì mia nonna.Fece un discorsetto molto chiarificatore al “parente” (quando si dice parenti serpenti): “I miei figli li ho mandati da te perchè imparassero il mestiere, non per fare i “portatori d’acqua”,ora datti una regolata”. Il cugino rispettò i patti e ne fece due abilissimi falegnami.
A vent’anni mio padre aveva sì imparato il mestiere,ma che se ne faceva in un paesino di duemila abitanti che ricorreva,se ricorreva,al falegname,in rare occasioni,di cui,forse,l’unica obbligatoria,era quella della fornitura del “tabuto”.
E pensò bene,come faveva la maggior parte dei giovani,di emigrare in Argentina dove c’era già una sorella che aveva sposato un coriglianese di Schiavonea. Ed era il 1914.Racimolò i soldi per il viaggio,che dovette poi immancabilmente restituire,una volta che ne fosse stato in grado,lavorando in Argentina.
Ma l’Argentina,pur essendo in America,non era “l’America”. C’era in atto una crisi economica che investiva tutti i settori, che poi gradualmente sarebbe scemata,con risvolti positivi, per l’economia,indotti dal conflitto europeo.
Ne frattempo,quando mio padre si rivolgeva per lavoro ad un imprenditore francese o italiano,gli veniva rimproverato di aver lasciato l’Europa nel momento in cui più c’era bisogno di uomini validi a combattere per l’imminente conflitto. Quando si rivolgeva ad un datore di lavoro tedesco o austriaco veniva cacciato in malo modo come nemico degli imperi centrali. Questo,almeno,succedeva in una metropoli come Buenos Aires.
Capì che bisognava cercare lavoro altrove,nell’immensità del territorio argentino,dove le passioni erano attenuate dai bisogni quotidiani.E trovò un compagno d’avventura,disposto,come lui,a cercare lavoro,dappertutto,ad ogni costo.
E,acquattati nei pressi delle stazioni ferroviarie,dove il treno aveva una modesta velocità,saltavano sui vagoni merci,con destinazioni le più lontane possibili.Ma dovevano stare molto attenti a non scendere mai alla fermata in qualche stazione ferroviaria perchè le “Ferrocarriles Argentinos” assoldavano squadre di picchiatori,muniti di nodosi randelli,che,a suon di botte,scoraggiavano il fenomeno dei viaggiatori “clandestini”.
Ma il momento più pericoloso era quello del salto dal treno sulla scarpata del rilevato che,sebbene avvenisse quando il treno rallentava,all’approssimarsi della stazione,era sempre un salto acrobatico.E ci fu la volta che mio padre rimase sulla scarpata,quasi senza respiro,tanto traumatico era stato il doloroso impatto col terreno.Ci volle molto prima di riprendersi.
E mi raccontò di quella volta che nella lontana pampa giunsero ad una grande fattoria di italiani che,a dire il vero,li accolsero perchè avevano bisogno di pitturare le lamiere ondulate del tetto delle stalle.Ma,e si può ben capire,giocavano al massimo risparmio,sulla pelle di quei due “desperados”. Il colore doveva essere di un rosso color mattone.
Gli prepararono un campione e non andava bene.Lo volevano più chiaro,ma non volevano spendere più di tanto in olio di lino. Si accontentavano di una diluizione con acqua. E,di diluizione in diluizione,trovarono il colore di loro gradimento.
Finito il lavoro,concordarono che l’indomani,prima di andar via, avrebbero fatti i conti.E intanto dormirono nei fienili delle stalle. La notte scoppia un temporale con una violenta pioggia. Ebbero subito l’intuizione di quel che stava succedendo. Osservando attraverso i vetri l’acqua che sgrondava dal tetto si accorsero che aveva un colore…mattone. Si guardarono atterriti e,senza aggiungere una parola,raccolsero frettolosamente il loro misero bagaglio e si dettero alla fuga,nella notte inclemente,evitando,così,di prendersi,l’indomani,un fracco di botte oltre,naturalmente,all’obbligo di ripulire il tetto.
Ovviamente,tutto,senza il becco d’un quattrino. E girovagando in cerca di lavoro,prima o poi venne il momento che gli fu riconosciuta una certa professionalità. Da chi?Ma proprio dalle odiate-amate “Ferocarriles Argentines” che avevano continuo bisogno di ricorrere a riparazioni dei propri vagoni che,all’epoca,erano tutti in legno,con parziale rivestimento in lamiera.
E mio padre cessò di viaggiare clandestino nei carri bestiame ma,molto più decorosamente,in vagone letto,quando,nelle lunghe trasferte,si doveva recare nei lontanissimi depositi ai margini della pampa o ai piedi delle Ande,dove si fermava per mesi interi,per rimettere in sesto i vagoni danneggiati.
Ma le ferrocarriles fecero di più.Ai fini di un miglioramento di trattamento economico e di gerarchie,occorreva anche un grado di preparazione certificato da un titolo di studio e mio padre,che aveva solo la terza elementare,dovette frequentare, a spese delle ferrocarriles,un corso professionale per poter conseguire il titolo di falegname specializzato.
Ed in quel corso fece elaborati di disegno tecnico che io,quando studiavo ingegneria,ho eseguito,sul medesimo argomento(gli infissi in legno) con minore precisione e rigore,negli elaborati di Architettura tecnica. Finalmente mio padre si sentiva realizzato.
Poi,un bel giorno del 1938,si presentò a Buenos Aires,un cugino di suo cognato,che era di Schiavonea,Giuseppe Curti,maggiore della MVSN,uno dei più alti esponenti del Fascismo a Corigliano. Si era espressamente recato in Argentina,in missione politica,per divulgare la volontà di Mussolini,di far rientrare il maggior numero possibile di emigrati,perchè le cose in Italia si stavano evolvendo molto favorevolmente nei confronti dei lavoratori che potevano beneficiare,primi nel mondo,con la rivoluzionaria istituzione di quella novità che fu l’INPS,di contributi assistenziali e pensionistici.
Figuriamoci se mio padre si faceva allettare da certe promesse, col lavoro sicuro e gratificante che ormai svolgeva. Il maggiore Curti,da parente “sincero” gli fece questo discorsetto: “ascolta,io ti faccio rientrare con viaggio gratuito in Italia,e tu,dopo aver constatato come stanno le cose,sei sempre libero di ritornare in Argentina”.
E mio padre si lasciò convincere,allettato dalla favorevole e ghiotta occasione di poter risparmiare una bella somma e,riabbracciare la mamma e,perchè no,trovare una sposa da portarsi in Argentina. E,una volta in Italia,il piano sembrò funzionare,fino a quando, trovata la sposa,si rivolse alla questura italiana per ottenere il nuovo passaporto.
Si sentì rispondere:il passaporto? Ma se tu sei stato rimpatriato con il “foglio di via obbligatorio” (era quello riservato a coloro che erano “indesiderabili” o morti di fame incapaci di potersi procurare un reddito) ora vuoi di nuovo metterti nei pasticci? Mio padre restò di ghiaccio e spolverata la pistola a tamburo che si era portata dall’Argentina,andò alla ricerca del Maggiore Curti, che si guardò bene dal farsi trovare.
E fu costretto a restare in Italia.Ed ebbe occasione di constatare che,in effetti,i tempi non erano più quelli della sua infanzia. C’erano ora possibilità imprenditoriali prima impensabili.Già il fratello si era messo,con altri,a gestire un autoservizio pubblico di linea,e le cose gli andavano bene.E fu lui a proporre a mio padre di restare,così,insieme,avrebbero partecipato all’ottenimento della Concessione di un’Autolinea Corigliano – Stazione. E così fu.
E fondarono quella che,in futuro,sarebbe diventata una delle più prestigiose Imprese di trasporto Viaggiatori in campo nazionale.
E fu così che io,oggi,non sono…argentino.
E fu così che io,oggi,non sono uno spiantato sudamericano.
E ricordo quando,a mio padre,chiedevo: “ma in fondo in fondo,non è stato meglio così?” Mi rispondeva,senza esitazioni:”cento mila volte meglio.”
Aveva solo un po’ di rimpianto,per le bistecche grosse tre dita, arrostite sulla brace,nella pampa,sottoposte ad un grado di cottura“VUELTA,VUELTA”,cioè rigirando,una sola volta,ognuna delle facce,sul calore della brace.
Ed il “PUCHERO”,una sorta di saporito minestrone cucinato a lenta cottura,composto da una misto di verdure e carne. Ed il vitello intero,svuotato e non scuoiato,riempito di erbe aromatiche della pampa,messo a cuocere in una buca sotto terra,protetto dall’involucro della sua pelle,immerso ne lla brace. E,poi,quelle cavalcate nella pampa con amici “fazenderos”. Null’altro.
In Italia,ormai riacclimatato,si sentiva benissimo,a suo agio e soddisfatto. E il Maggiore Curti?
Chissà quante volte li ho visti che, amabilmente,conversavano e si scambiavano reciproci complimenti.

Ernesto Scura

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