Il prof. Giovanni Pistoia e l’editore Michele Falco hanno presentato “La leggenda di Leon”, un romanzo originale e avvincente.
“Personaggi storici che vestono abiti surreali, la storia dell’Unità d’Italia rivisitata, rielaborata, insolitamente e curiosamente inserita in un romanzo di fantasy ben scritto, compatto, che coinvolge il lettore, il quale assiste, stupito, a continui colpi di scena, dove la creatività dell’autore si dispiega ampiamente.
È evidente che al Nostro piace la storia: il romanzo fa riferimento a vari eventi che, pur partendo da lontano, hanno come obiettivo ultimo l’Unità della penisola italica”.
È quanto ha dichiarato nel pomeriggio di ieri – in una sala convegni dell’Opera Salesiana “Don Bosco” di Corigliano gremita di cittadini, soprattutto di giovane età – il prof. Giovanni Pistoia, chiamato a relazionare sul libro “La leggenda di Leon”, prima opera del giovane Armando Lazzarano, pubblicata per i tipi di Falco Editore.
Alla presentazione, alla quale hanno partecipato anche lo stesso editore, dott. Michele Falco, e l’autore del romanzo, giovane dall’arguta intelligenza, ha infatti partecipato un uditorio numeroso e attento a conoscere le peculiarità del testo in oggetto, vera e propria novità letteraria nel territorio.
Ma da cosa e come nasce l’idea di mettere nero su bianco questo romanzo?
“L’idea di base – ha spiegato Lazzarano nel corso del suo intervento – non è mai stata in discussione: riscrivere, per quanto possibile, quel periodo denominato Risorgimento. Un periodo, a mio modo di vedere, costellato da tanti, troppi, punti oscuri. Un periodo dove non solo il dubbio riguardante gli episodi regna sovrano, ma dove il caos e la poca chiarezza su fatti e personaggi mi hanno lasciato da pensare. Il primo problema, arrivato proprio agli inizi della stesura, riguardava il punto di partenza, il dover trovare un periodo, un punto adatto per poter iniziare questo percorso fantasy-storico. In mio aiuto è arrivato uno scrittore francese rispondente al nome di Gilles Pecout con il suo saggio storico intitolato “Il lungo risorgimento”. Pecout nel suo scritto prolunga, e non di poco, il periodo risorgimentale. A questo l’autore conferisce il suo inizio con l’ascesa francese di fine Settecento sulla penisola italica. Probabilmente, almeno a mio avviso, si spinge troppo oltre facendo terminare lo stesso con l’ascesa del fascismo del 1922. Ho preso seriamente in considerazione la sua idea riguardante questo inizio così a ritroso, inizio che tutto sommato una sua logica sembra averla in base al quadro futuro che andrà poi delineandosi. Inoltre questa impostazione, la partenza non troppo a ridosso dai fatti storici che hanno condizionato e creato le basi di questa unità politica della penisola, mi ha permesso l’avvicinamento tra lettore e protagonista. Così facendo, ho potuto presentare al meglio non solo il protagonista narratore della vicenda ma anche alcuni coprotagonisti che lo affiancheranno. Diciamo che possiamo considerare questa una prima parte simbolica del romanzo dove l’impronta storica riguardante il periodo risorgimentale risulta a tutti gli effetti velata, quasi dormiente. Tra i protagonisti fa capolino quello che possiamo definire a tutti gli effetti un protagonista-osservatore. Quasi un’entità silenziosa, testimone di molti dei fatti e degli episodi che condiranno il romanzo: è questo infatti il ruolo del castello ducale”.
Molto interessante anche l’intervento dell’editore Falco, il quale ha posto in evidenza la necessità dell’importanza di una ‘cultura della lettura’, in primis nell’universo giovanile, e ha illustrato le ragioni che lo hanno indotto a sposare il romanzo di Lazzarano per la sua ricchezza di contenuti. Un fattore di non poco conto, poiché Falco Editore rappresenta un’icona nel panorama culturale calabrese, e non solo.
Il prof. Pistoia, durante la sua relazione, ha poi posto in evidenza quelli che sono i tratti salienti del libro.
“Non sono pochi i nomi di personalità storiche note e di primo piano, eppure non possiamo parlare di un romanzo storico quale è tradizionalmente inteso. Qui tutto assume la veste di una narrazione tra il reale e l’irreale, tra l’umano e il non umano. La presenza di forze oscure sembrano essere quelle che, in fondo, decidono la storia e la realizzano a prescindere dalla volontà di protagonisti che, in fondo, non lo sono. Ma non è un romanzo storico così come siamo abituati a conoscerlo. Vi sono degli elementi (l’ambiente, i riferimenti storici reali…) ma poi la trama si avvicina di più ad altro genere. Pur non avendo tutti i canoni classici di un romanzo d’avventura, non mancano le scene d’azione, non sono pochi, e tutti strani, i nemici del protagonista principale. Ben strutturato, – ha spiegato il docente e scrittore – il ritmo del racconto è sostenuto, il lettore è coinvolto, segue i fatti ed è curioso di conoscere come il tutto vada a finire. Le prime pagine potrebbero far pensare a un romanzo di formazione, il racconto di un ragazzo con un padre tiranno che cerca negli inservienti e nella timida madre una difficile maturità, ma la storia prende piano piano altre pieghe. Emergono altre caratteristiche. Prendono il sopravvento le incursioni nel noir. La trama complessiva, gli intrecci oscuri, le trasformazioni radicali dei personaggi, il mondo dei non viventi o dei morti che camminano e agiscono conducono a inserire il lavoro in un genere letterario che ricorda la letteratura dell’orrore, il romanzo gotico (non mancano, infatti, nel racconto di Lazzarano, pagine d’orrore e note romantiche). In maniera molto generico lo si potrebbe definire un romanzo fantasy ma gli si farebbe torto. È difficile e presuntuoso voler etichettare, incasellare rigidamente in un genere. È un romanzo dove si combattono uomini normali e mostri, ma dove, a volte, il bene e il male si confondono e un gioco di metafore potrebbe svelare ben altri risvolti, ben altre letture. Un romanzo che pur affondando in vari generi ha connotati di originalità, l’immaginazione si dispiega e per quanto possa prendere quota nei meandri del fantastico, rimane ancorato alla vita degli uomini, quelli considerati umani, fin troppo umani, disumani”.
Corigliano Calabro, 30 luglio 2017