Di solito non prendo in considerazione le stupidaggini degli anonimi,specie quando,già nello pseudonimo,richiamano,per assomanza,la loro natura di ….”DELETERIO”. Stavolta faccio un’eccezione, anche per l’occasione che mi si offre di divulgare alcuni apprezzabilissimi elogi, all’etnia albanese, di uno dei più grandi storici europei.
DELETERIO,dopo aver letto alcuni miei passaggi sull’orgoglio “arbëresh”,mi rimprovera un eccesso di “vanagloria” che avrei attribuito,alla mia etnia (ma se fossi stato un gay,che si vanta di essere tale,e dei gay difende natura e atteggiamenti,avrebbe sicuramente plaudito alle apprezzabili rivelazioni.GAY è bello). Ma guai a voler dire al mondo che ARBÈRESH e bello.
Poveretto non sa che le mie “citazioni” non sono “mie sentenze” ma severi riporti storici. Dalla sua traballante prosa deduco che il suo “italiano” cammina sui trampoli di una cultura inconfondibilmente magra e malferma, e la sua prosa,leggendola,ti vien quasi voglia di aiutarla a non inciampare.
Comunque,non posso ribassarmi a dialogare con lui.Pertanto,nel defilarmi,gli propino un mio antico e stagionato articolo dei primi anni 80 in cui riporto,fedelmente ciò che degli albanesi scriveva uno dei più grandi storici europei,il tedesco THEODOR MOMMSEN, premio Nobel per la letteratura,del 1902.
Non pretendo che creda a me.
Ma al cospetto del grande Mommsen,vivaddio,leviamoci il Cappello. Tutti.Colti e meno colti,intelligenti e stupidi,buoni e …deleteri.
Ernesto Scura
ALBANESITA’ : INDAGINI E DEDUZIONI (da LIDHJA N°4/81)
di ERNESTO SCURA
Più volte mi son posto la domanda se valeva la pena considerarsi ancora albanese. Se cioè il semplice fatto di sapermi esprimere in una lingua, giuntami quasi intatta attraverso i millenni, fosse motivo sufficiente a farmi fregiare, con orgoglio, dell’etichetta di albanese. Ho cercato pertanto un supporto storico che mi convincesse della validità di tale appellativo.
La mia ricerca ebbe inizio, quando accertai che la parola Trieste deriva dal latino Tergeste che, a sua volta, discende direttamente dall’illirico volendo significare mercato, emporio (in albanese treg, in rumeno tîrg). A questo punto si imponeva un approfondimento che mi chiarisse le connessioni tra l’estrema città adriatica e gli Illiri.
Consultai la fonte più autorevole: la “storia di Roma Antica” di Theodor Mommsen (1856). Nel volume III trovai quanto cercavo, per appagare la mia iniziale curiosità in due pagine che voglio riportare fedelmente:
« L’Illyricum, vale a dire il territorio romano tra l’Italia e la Macedonia, nel tempo della Repubblica fu per una parte minore annesso alla provincia greco-macedonica, per una parte maggiore considerato quale accessorio dell’Italia e, istituita la provincia della Gallia Cisalpina, governato da questa siccome a lei appartenente. Fino ad un certo segno il territorio s’immedesima con quella popolazione si estesa, da cui i Romani trassero il loro nome. Ed è propriamente quella stirpe, i cui poveri avanzi, nell’estremità meridionale della sua primitiva possessione, conservano ancora oggi la sua antica nazionalità e la lingua particolare, sotto i nome di Shqipetari, come essi stessi si denotano, o di Arnauti o Albanesi, come li chiamano i loro vicini. Parte della famiglia indogermanica, e forse più affine entro questa cerchia all’elemento greco.
Nella sua originaria estensione questo popolo occupava le coste del mare Adriatico dalla foce del Po attraverso l’Istria, la Dalmazia e l’Epiro, fin verso l’Acarnania, inoltre, nell’interno della Macedonia Superiore del pari che la moderna Serbia e la Bosnia e il territorio ungarico della riva destra del Danubio; sicché esso confinava ad oriente con le popolazioni traciche, ad occidente con le celtiche, dalle quali ultime Tacito espressamente lo distingue.
UNA VIGOROSA RAZZA DI UOMINI. GENTE SOBRIA, TEMPERATA, IMPAVIDA, ALTERA, ECCELLENTI SOLDATI.
Le popolazione illiriche sul litorale italico, soprattutto i Veneti, divennero ben tosto per la loro rivalità con i Celti docili sudditi dei Romani. Alla fine del secolo VI di Roma e nella prima metà del VII anche la costa tra l’Istria e Skodra fu dopo lunghe lotte occupata dai Romani. Nella parte interna del paese gli Illiri sotto la Repubblica furono da essi poco molestati.
La Bosnia, la Serbia e più di tutte l’Albania furono illiriche nell’impero, e tale è ancora oggi l’Albania. Augusto, dopo una lotta di quattro anni domava la possente insurrezione nazionale, scoppiata nell’anno 6 d.c. presso gli Illiri della Dalmazia e della Pannonia.
Dopo che da Adriano in poi gli italici erano scomparsi dall’esercito, le nuove legioni istituite sotto Marco Aurelio erano formate da Illiri. Era perciò natural cosa che i soldati i quali appartenevano all’’esercito danubiano e per la maggior parte erano originari delle regioni illiriche, da allora in poi esercitassero una preponderanza anche nel governo e, in quanto l’esercito creava gli imperatori, questi pure fossero per lo più illirici. Per tal modo seguono a Gallieno il Dardano Claudio, Aureliano della Mesia, Probo della Pannonia, Diocleziano della Dalmazia, Massimiano della Pannonia, Costanzo della Dardania, Galerio di Serdica. Uno scrittore che visse al tempo della dinastia costantiniana rileva di questi ultimi la origine dall’Illyricum, aggiungendo com’essi addestrati dai lavori dei campi e delle armi, divenissero in seguito eccellenti capi dello Stato.
CIO’ CHE PER LUNGO TEMPO SONO STATI GLI ALBANESI PER L’IMPERO OTTOMANO, FURONO I LORO MAGGIORI PER L’IMPERO ROMANO.
Dall’attenta lettura di quanto sopra emerge inconfutabilmente:
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Tutta la porzione d’Europa compresa tra la foce del Po ed il Danubio era illirica fino alla Acarnania ed all’Etolia e di conseguenza si parlava albanese dove ora è Padova, Venezia, Trieste, Budapest, Belgrado, Lubiana, Zagabria, Zara, Sarajevo, Spalato, Nish, Prishtina, Durazzo, Skopje, Sofia, Igoumenitsa, Parga, Prevesa, ecc.ecc.
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Questa «vigorosa razza di gente sobria, temperata, impavida, altera, diede filo da torcere ai Celti, ai Romani, ai barbari d’oltre Danubio, al punto da diventare, in seguito, il baluardo a difesa dell’impero Romano.
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Anche se vinti, non furono mai sottomessi, come dimostra il contributo degli albanesi alla formazione degli alti ranghi dell’Impero romano prima, con una lunga serie di imperatori e dell’Impero ottomano poi, che annoverò, nei quadri dello Stato e dell’esercito, albanesi d’indubbio valore, fino ad arrivare al più grande riformatore della Turchia moderna, quel Kemal Ataturk (¹) considerato ad oggi dai Turchi il “Padre della Patria”. Si pensi che non v’è cerimonia solenne oggi in Turchia che non si concluda con la visita dei capi di Stato e di governo al mausoleo di Kemal Ataturk, un albanese, nato nei pressi di Salonicco, che seppe togliere il “Chador” alle donne turche dando loro dignità e parità (per molto meno lo Scià di Persia si giocò l’impero) riuscendo a separare il potere religioso da quello politico ed avviando un processo di modernizzazione in chiave occidentale.
A questo punto reputo onorevolissimo il qualificarsi albanese. Del resto, lo dice il Mommsen. E si che se ne intendeva!
(¹) Mustafà Kemal, figlio di un funzionario delle imposte dell’Impero ottomano che, allora, comprendeva anche l’Albania e la Grecia. Compiuti gli studi nell’accademia militare, pervenne al grado di generale ed in seguito, proclamato Presidente della Istituita Repubblica Turca, assunse il nome di Ataturk (At=padre; turk=turco).