Di Giacinto De Pasquale
Nonostante le restrizioni imposte dal covid “A festa i ri vicinanz” è andata in scena lunedì 16 agosto nel centro storico di Corigliano, con la presenza di tanta gente, che non solo ha voluto rivolgere un sincero plauso agli organizzatori per l’iniziativa,
ma soprattutto ha voluto rivivere, se pur con il pensiero, l’essenza e l’importanza “i ru vicinanz”. L’iniziativa promossa dalla Pro Loco diretta da Valeria Capalbo si è svolta in collaborazione con il “Comitato dei Commercianti” di Corigliano Centro che ha in Enzo Natozza il suo presidente. Ma perché l’iniziativa ha riscosso tanti consensi ? I vecchi dicevano «meglio un buon vicinato che un cattivo parentato». «Il rapporto di vicinato è antico quanto l’uomo. Una sorta di solidarietà sociale informale, uno scambio continuo, una forma di collaborazione che travalicava i legami affettivi», spiega la sociologia. Superato dai rapporti via Internet e dalla chiusura verso l’interno dell’individuo. Superato senza risolvere il dramma della solitudine, nella variante terribile di solitudine cittadina. A ben guardare, il vicinato è una forma di sopravvivenza sempre più latente. Di qui la necessità di riproporlo, nel tempo buio del pericolo che minaccia non solo il caseggiato o il quartiere, il paese o la città, ma nazioni e popoli del pianeta e, in qualche maniera, rievocarlo. Anche alla luce della solidarietà umana e non solo nazionale o continentale. Il «balcone che canta» che segnalò simbolicamente la resistenza all’esordio della maledetta pandemia fu oscurato dal primeggiare di quella paura che oscura i cuori quando ottenebra la ragione. Non dimentichiamo la solidarietà umana intesa come ragione collettiva del cuore e della mente. “L’iniziativa di lunedì 16 agosto – afferma Enzo Natozza – va in questa direzione. Far capire alle giovani generazioni il patrimonio sociale e culturale che “ u vicinanz” ha portato con se negli anni che furono, patrimonio che adesso è necessario riscoprire.
Impediamo che scompaia il «vicinato» di antica tradizione o, perlomeno, motiviamolo – afferma ancora Natozza – perché prosegua nella sua trasformazione sociale”. Ma accanto a questo tema del vicinato, Natozza, sottolinea come altre iniziative sono in campo affinché il centro storico coriglianese riacquisti vivibilità e dignità. “Come Comitato dei Commercianti – afferma il presidente Natozza – prima che scoppiasse la pandemia, avevamo avviato una serie di interlocuzioni con l’amministrazione Stasi, che oggi incominciano a dare i frutti sperati. Mi riferisco alla riattivazione dei bagni pubblici di villa Margherita. L’amministrazione comunale ha effettuato un lavoro di restyling che ha ridato dignità e fruibilità ai bagni. Così come il mercato mensile che dal prossimo mese di settembre si svolgerà a viale Rimembranze e non più su via Vittorio Emanuele. Ritengo che questa nuova collocazione – conclude Enzo Natozza – darà maggiore fruibilità e dignità non solo ai cittadini ma a tutti i commercianti”. Per tornare alla festa “i ri vicinanz” quei momenti ci hanno regalato ricordi fantastici che la nostra mente ancora conserva intatti. In una casa antica, del centro storico cittadino, dove abitavano alcuni miei parenti, in tre piani vetusti, s’aveva una coinquilina, affittuaria, che si chiamava Maria e abitava nei «sottani» a piano terra. Costei era la mater familias di una nutrita e pigolante schiera di figlioli. Il marito faceva il pastore e tornava di rado dall’ovile rustico a quello cittadino, per cui Maria era la capofamiglia indiscussa. La mia compagine di parenti trovava sempre in questa donna sorridente e faccendiera un appoggio, un consiglio, un aiuto, la cenere per il bucato, una tazza di sale, una «carta di pepe». Era la vicina per eccellenza, la cara presenza fidata, Maria. Negli anni dell’infanzia fui convinto che il suo cognome fosse «d’abbasso». E già, perché la buona vicina era designata con la collocazione topografica e non con il suo cognome: «Maria D’abbasso». Forse anche lei ricambiava l’uso e chiamava i miei parenti «Le signorine di sopra». Non l’ho mai saputo. Di fatto, nelle perticone di cemento in cui abitiamo oggi i «d’abbasso» e i «di sopra» non esistono più e il vicinato riesce a malapena a coagularsi nelle riunioni di condominio che, per indole funzionale, hanno il compito di regolare la vita pratica della comunità degli abitatori e il vicino diventa condomino. E i condomini non si amano, a malapena, si rispettano. Troppe questioni li dividono, troppi panni stesi che gocciolano li rendono ostili, troppi cani tediano le sieste, troppe auto sono parcheggiate sulla «striscia mia», troppo si paga per l’ascensore pur abitando al secondo piano rispetto «a quei signori del sesto che vanno sempre su e giù», troppo rumore fa la signorina che abita sopra coi tacchi a spillo, quando rientra a tarda ora e sveglia «tutto il palazzo» col ticchettio e, soprattutto, sveglia «noi che dobbiamo andare a lavorare la mattina dopo». In quest’ultima frase serpeggia un po’ d’invidia mista a malizia. Vorrei avere un vicino anch’io, penso. Come metafora dell’umanità. E, invece, ho solo «altri» che, oggi, spesso, s’infischiano della pandemia e delle norme per frenarla. E, per vicino, intendo una mescolanza di amicizia, solidarietà, complicità, vissuto comune, un vicino che sia un po’ «signora dirimpetto» e un po’ esperto in idraulica per hobby, che sappia cucinare e abbia sempre un po’ di basilico in più, un vicino o vicina che sappia fare le punture e che ami cantare in coro. Anche se è stonato faremo finta tutti, io e gli altri vicini, in tutto il mondo, di non accorgercene, se decidiamo di fare una festa. Planetaria. Perché, allora, la pandemia sarà sconfitta.