Invio alla vostra cortese attenzione un importante atto che riguarda il dibattito in corso sulle trivellazioni. Ad onor del vero,allego la dichiarazione della senatrice Loredana De Petris all’indomani del voto in Senato su un emendamento di merito.Nel rispetto di qualsiasi posizione,appare tuttavia utile stabilire una linearità di comportamenti che segua la coerenza di parole e fatti. Il rispetto della verità è un obbligo morale e politico soprattutto verso i propri elettori! Questo territorio è stato troppo mortificato per potersi permettere ulteriori umiliazioni.
1.COMUNICATO STAMPA
DL CULTURA E TURISMO: Aula respinge emendamento di SEL su trivellazioni petrolifere
De Petris (SEL): “Alla prova dei fatti partiti subalterni alla lobby del petrolio”
20/09/13 – “Con questo voto i partiti di maggioranza e il movimento 5 stelle hanno dimostrato di ignorare le proteste unanimi che provengono dalle popolazioni delle Regioni interessate e dagli enti locali e hanno contraddetto le proposte di legge che loro stessi hanno presentato in Senato. Bisogna invece fermare la lobby del petrolio, prima che il rilascio delle autorizzazioni alla trivellazione in mare metta in grave rischio le coste dell’Adriatico, del canale di Sicilia e della Sardegna”.
E’ questo il commento di Loredana De Petris, senatrice di SEL e capogruppo del Misto al voto dell’assemblea di Palazzo Madama che, nel corso dell’esame del decreto-legge su cultura e turismo, ha respinto l’emendamento di SEL che avrebbe bloccato il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in mare.
“Prendiamo atto – conclude la senatrice – che alle parole e agli impegni assunti solennemente in sede locale non seguono i fatti in parlamento. La nostra battaglia su questo tema prosegue da oggi con ancora più forza, a tutela dell’ambiente, dell’economia turistica e della qualità della vita delle nostre coste”.
SENATO DELLA REPUBBLICA
2. ———– XVII LEGISLATURA ———–
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa della senatrice DE PETRIS
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL ………….
“Nuove disposizioni per la disciplina delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”
RELAZIONE
On. Senatori,
mentre nel nostro Paese si osserva una evidente inversione di tendenza nei consumi petroliferi, per effetto della crisi economica ma anche per il crescente contributo delle energie rinnovabili, non si attenua la pressione delle compagnie operanti nel settore per l’ottenimento di concessioni di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi, sia sulla terraferma che di fronte alle nostre coste.
Una vera “corsa” all’oro nero, pure a fronte delle ridotte entità di prodotto in gioco, con richieste che interessano ad oggi una superficie territoriale e marina di dimensioni equivalenti alla Sardegna. Lo stato delle richieste giacenti, sulla base di quanto riportato nel dossier dell’Associazione “Legambiente” presentato lo scorso mese di luglio, è il seguente:
– sette richieste per la coltivazione di nuovi giacimenti, per un totale di 732 kmq individuati, che andrebbero a sommarsi ai 1.786 kmq su cui già insistono le piattaforme attive;
– quattordici permessi di ricerca attivi per un totale di 6.371 kmq, con l’ultimo conferito nel marzo scorso alla Petroceltic Italia a largo della costa abruzzese;
– trentadue richieste di ricerca di idrocarburi per un totale di 15.574 kmq di mare non ancora rilasciate, ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte dei Ministeri dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello Sviluppo economico.
Secondo stime diffuse dalla stesso Ministero dello Sviluppo economico, anche raggiungendo gli obiettivi fissati dalla Stratega energetica nazionale, che prevede un incremento del 148% nella produzione annuale di greggio “nazionale”, portando quindi l’estrazione di petrolio dalle attuali 5 milioni di tonnellate a oltre 12 milioni di tonnellate, le riserve totali (nel mare e nel sottosuolo italiano) si esaurirebbero in poco più di dieci anni, con un contributo certamente non decisivo al bilancio energetico nazionale.
Un contesto di indispensabile valutazione dei costi e benefici richiede in primo luogo di rapportare queste stime di produzione ai rischi che la ricerca e l’estrazione di idrocarburi comportano per l’ecosistema del Mediterraneo e per le attività economiche del nostro Paese più direttamente connesse alla qualità delle aree costiere e delle acque marine.
Il Mediterraneo è un bacino semi-chiuso che presenta un lentissimo ricambio delle acque e risulta interessato dal 25% del traffico mondiale di idrocarburi, solo un terzo del quale è destinato al consumo dei paesi rivieraschi, già oggi in presenza di una densità di catrame pelagico molto elevata, pari a 38 mg/m2, quasi quattro volte superiore a quella del Mar dei Sargassi che è posizionato al secondo gradino di questa classifica. Tutto questo a fronte di una biodiversità marina molto elevata, con punte di eccezionale valore, con un turismo che incide per l’8% sul PIL nazionale, fortemente caratterizzato dalle attività costiere, in un Paese con circa 16 milioni di residenti stabili a ridosso delle coste e con la seconda flotta europea, in termini di numero di imbarcazioni, per la pesca professionale.
Dati che dovrebbero far riflettere sull’impatto devastante che potrebbe riversarsi sugli ecosistemi marini, con effetti permanenti di tossicità, sull’economia turistica e della pesca e sulla qualità della vita della popolazione insediata nelle aree costiere a fronte di un incidente rilevante nelle attività di coltivazione dei giacimenti di idrocarburi. Senza considerare l’impatto derivante dalle attività propedeutiche all’estrazione, con una stima, tratta dallo studio condotto dal consorzio GESAMP cui partecipa, fra gli altri, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di uno sversamento variabile da 30 a 120 tonnellate di sostanze tossiche derivanti dal normale esercizio di un pozzo esplorativo.
Per comprendere più a fondo le ragioni di questa anomala spinta alla concessione di aree per la ricerca di idrocarburi in Italia e nelle relative acque territoriali, occorre peraltro ricostruire il quadro fiscale nel quale si muovono, ad oggi, queste attività, configurandosi un complesso di vantaggi ed esenzioni che non ha eguali nel mondo. Il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e le successive modifiche e integrazioni, contemplano infatti esenzioni totali dal regime d’imposta per i primi 25 milioni di tonnellate di metri cubi di gas e ventimila tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, incrementate rispettivamente a 80 milioni e 50 mila se prodotti in mare. I canoni annui per le aree concesse (art.18 del dlgs n.625/1996) sono fermi tuttora ad importi assolutamente irrisori e l’aliquota applicata sul prodotto è pari ad oggi al 10% sulle estrazioni in terraferma e al 7% per gli idrocarburi liquidi estratti dal mare (art.19 del dlgs n.625/1996, recentemente corrette dall’art.35 del D.L. n.83 del 2012), decisamente al di sotto dei valori applicati in tutti i paesi produttori che partono da un minimo del 20%.
Un regime quindi di particolare favore, che non è stato sostanzialmente intaccato dall’intervento normativo disposto con l’art.35 del decreto-legge n.83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.134. Provvedimento quest’ultimo che ha introdotto l’importante divieto di effettuare attività di ricerca di idrocarburi nelle aree marine a qualsiasi titolo protette e all’interno delle dodici miglia dalla linea di costa, ed introdotto l’obbligo di procedere alla valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) ai sensi dell’art.21 del Dlgs 3 aprile 2006, n.152, vanificando però contemporaneamente l’efficacia di tali prescrizioni con alcune deroghe sostanziali. Il riferimento è in particolare a quanto previsto per i “procedimenti concessori” in corso, che vengono fatti salvi anche se localizzati nelle dodici miglia, e per le attività autorizzate dagli uffici territoriali di vigilanza dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi che vengono sottratte all’obbligo della V.I.A.
La situazione giuridica sopra sinteticamente descritta rende pertanto necessario e urgente un nuovo intervento normativo, come previsto con il presente disegno di legge, nella direzione già intrapresa dalla nuova direttiva europea (2013/30/UE) tendente, fra l’altro, a rafforzare le condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni a mare
Con il comma 1 del disegno di legge si interviene sull’art.6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, nel testo modificato con l’art.35 del decreto-legge n.83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.134. In primo luogo si stabilisce che l’ambito delle dodici miglia soggetto a divieto di concessione a qualsiasi titolo, sia considerato a partire dalle “linee di base” e non dalle “linee di costa” come previsto nel provvedimento citato, tenuto conto che solo con tale modifica si assume correttamente, come riferimento per il calcolo, il limite che esclude golfi ed insenature. A differenza della formulazione attualmente vigente, sono fatti salvi solo i titoli abilitativi già rilasciati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n.128, e non anche i procedimenti concessori in istruttoria alla data di entrata in vigore del D.L. n.83/2012, con i relativi atti connessi. Sempre con il comma 1, lettera b), si sopprime ogni deroga all’obbligo di sottoporre i procedimenti concessori per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare alla V.I.A. e si prescrive che il provvedimento autorizzativo possa essere rilasciato solo d’intesa con le Regioni competenti sui tratti di costa antistanti. Quest’ultima disposizione intende rispondere alla richiesta di un più diretto coinvolgimento, avanzata unanimemente dalle Regioni adriatiche e ioniche, nel corso della conferenza tenutasi a Venezia nel novembre del 2012. Venendo modificate in modo sostanziale dal comma 1 le disposizioni introdotte dall’art.35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, il comma 2 stabilisce che devono considerarsi privi di efficacia i titoli abilitativi concernenti prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in mare eventualmente rilasciati nel periodo intercorso dall’entrata in vigore del predetto decreto-legge fino all’entrata in vigore delle disposizioni previste dal presente disegno di legge.
I commi 3, 4 e 5 intervengono invece sul trattamento fiscale delle attività in questione. In particolare il comma 3 incrementa i canoni di concessione delle aree, previsti dall’art.18 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, mentre il comma 4 è rivolto ad adeguare l’aliquota corrisposta sul prodotto a livelli quanto meno comparabili con il prelievo praticato sui mercati internazionali. Infine il comma 5 sopprime le esenzioni fiscali in vigore sul prodotto estratto annualmente, sia in terraferma che a mare, previste dal comma 3 e dal comma 6-bis dell’articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625.