L’imprenditoria “strozzata” dal racket non ha mai costituito un “fronte comune” di lotta contro la criminalità organizzata
Inibizione e insicurezza emergono immediatamente. L’interlocutore si rende subito conto che «forse è meglio non parlarne». O forse sì. A Corigliano Calabro il fenomeno delle estorsioni è sempre stato più o meno “sommerso” per il timore di ritorsioni, danneggiamenti, incendi.
Il commerciante sembra voler rimuovere qualcosa dalla propria mente. Già, perché per anni in città il fenomeno ha avuto una diffusione inimmaginabile. E pagare il “pizzo” è ormai un atto abitudinario, la normalità, una tassa d’“impatto ambientale” con esazione immediatamente coattiva, altro che Equitalia e “ganasce fiscali”!
Un’“imposta diretta” che in alcuni settori ha letteralmente strozzato la libertà d’impresa, il libero mercato, la concorrenza.
«Il problema non è tanto la somma di “pizzo” che si è costretti a pagare ad un’ipotetica organizzazione mafiosa – afferma Antonio M., il quale svolge l’attività d’imprenditore – il vero guaio è che attraverso il condizionamento mafioso sull’economia si distrugge quella che è l’anima dell’impresa, l’anima senza la quale non v’è un imprenditore che investe e quindi non v’è un imprenditore che crea lavoro».
Il racket delle estorsioni viene gestito in nome e per conto di quello che un tempo fu il “locale” di ‘ndrangheta attivo in città, ora ridotto al rango di ‘ndrina del “locale” avente sede e base operativa nella confinante Cassano Jonio, come dimostrano le più recenti maxi-inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e, soprattutto, le sentenze dei vari processi che si sono celebrati negli ultimi anni, con la metà degl’“incassi” destinati ai “signori del locale” cassanese almeno nelle estorsiioni più consistenti.
Lei paga la “tangente” a qualcuno? «La tangente è una parola grossa. Qui ci conosciamo tutti: diciamo che ogni tanto faccio un regalo, tutto qui. L’importante comunque è riuscire a lavorare, come fanno tutti».
Vige ancora la regola del “rispetto” verso chi, forse perché pregiudicato o magari soltanto “prepotente”, potrebbe arrecare molestie alle sedi delle attività.
Tra i commercianti e gl’imprenditori v’è un timore quotidiano.
Angelo P., piccolo impresario operante nel settore dei lavori pubblici, è preoccupato: «La criminalità – dice – distrugge la motivazione dell’imprenditore perché senza libertà, ovvero con una libertà condizionata, non si può essere veri imprenditori».
Ma alla domanda «Perché non denuncia?» alzano tutti le mani al cielo, e così ci si continua a sottomettere alla prevaricazione della criminalità che costituisce un fortissimo ostacolo per l’impresa.
Se si vuole sconfiggere il fenomeno l’unica strada maestra è quella d’organizzarsi e costituire un “fronte comune” per denunciare insieme gli estorsori e lottare contro la criminalità organizzata.