Con l’avvento del mese di maggio ritorna, come da consuetudine, la tradizionale “Fiera dell’Ascensione” in quel di Schiavonea, popoloso borgo marinaro e turistico del comune di Corigliano Rossano, scrigno d’arte e cultura da tutelare e valorizzare.
L’avvenimento è intimamente legato alla storia e alle tradizioni di un caratteristico e atteso rito molto sentito dalla comunità coriglianese, motivo di allegria e festosa riunione con parenti ed amici: l’uccisione del maiale che avveniva nella stagione invernale e, più esattamente, nel periodo compreso tra l’inizio di dicembre e la fine di gennaio. Uno spaccato in tal senso significativo ci è stato tramandato, soprattutto in relazione a quella che era una volta la “fiera del bestiame”, dal professore Antonio Russo.“Il maialino (’u ripassә) si acquistava nel mese da maggio a Schiavonea alla fiera i ra Scinzijonә. Una volta comprato e castrato il maialino nei primi mesi veniva alimentato ccu ra vurràtә, sciacquatura di piatti, nella quale si aggiungevano tozzi di pane duro, bucce di frutta e foglie di ortaggi vari. In ottobre avanzato la dieta diventava più sostanziosa, poiché era giunto il tempo in cui ‘u puorchә si mìndivә a ru ‘ngrassә. Alla solita brodaglia si aggiungeva della crusca di grano (canigghja) o la stessa si impastava con zucca gialla bollita o con patate lessate. Tra un pasto e l’altro si somministravano ghiande e castagne. Sin dai primi mesi, però, ed ogni giorno, dopo il pasto principale si dava al maiale ‘na jundә ‘i guorijә, una manciata d’orzo, che, secondo la tradizione, lo faceva allungare. Terminato l’ingrasso (che non poteva durare più di un certo tempo al di là del quale ogni ulteriore somministrazione extra di cibo diventava inutile ed inefficace) si stabiliva il giorno in cui si facijә ru puorchә. A questo giorno di grande allegria partecipavano solo i parenti stretti, pochi amici intimi ed un “esperto”, una persona, cioè, capace di uccidere e “sfasciare” il maiale. Parenti ed amici, a loro volta ed a turno, contraccambiavano l’invito quando uccidevano i propri maiali. La mattina del giorno stabilito gli invitati arrivavano di buon’ora. La padrona di casa faceva trovare il fuoco già acceso i ravandә ‘a turra, casa di campagna. Sistemava sul fuoco ‘u trippitә e su questo una grande pentola di rame (‘a quararә) piena d’acqua. Prima che questa cominciasse a bollire, quattro uomini, l’esperto e tre volontari, andavano a prendere il maiale nel porcile e lo trascinavano verso la casa. Poi lo afferravano per i piedi e lo sollevavano su un robusto tavolo tenendolo ben fermo. Durante questo breve percorso ed anche dopo, il maiale gridava ed una brutta bestemmia popolare, vo’ farә ‘i giirә i ru puorchә, da l’idea del significato inequivocabile di quelle grida. Per tradizione e per buon augurio era chiamato il padrone di casa ad assestare il primo colpo (coltellata) che poteva essere anche simbolico. Il sangue, raccolto in un recipiente, veniva adoperato per fare il sanguinaccio o veniva fatto coagulare e soffritto con cipolla, peperoncini verdi e cosparso di polvere di pepe rosso”.FABIO PISTOIA