Vincenzo Guidi, 52 anni, pregiudicato coriglianese resta in regime di “carcere duro”. Così ha stabilito la suprema corte di Cassazione per il boss della Sibaritide e di Corigliano. Il pregiudicato sta scontando una condanna a 30 anni di reclusione per il delitto Viteritti. Il fatto delittuoso avvenne il 17 gennaio del 1997 nel piazzale antistante la stazione ferroviaria dismessa di località Thurio di Corigliano.
Quella mattina per la guerra di ndrangheta insorta all’interno del “locale” di Corigliano venne ucciso, Giovanni Viteritti, 35 anni, conosciuto negli ambienti malavitosi come ” u pazzu”. In un primo momento Guidi venne condannato all’ergastolo, poi nel 2012 dal carcere a vita gli vennero inflitti 30 anni di reclusione. Oggi, come detto, Guidi ha presentato ricorso contro il carcere dura allsa Corte di Cassazione che, però, come si diceva lo ha respinto con questa motivazione: “Il ricorso è inammissibile, essendo fondato su motivi manifestamente infondati”. Con ordinanza emessa il 23/04/2015 il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo presentato da Vincenzo Guidi avverso il decreto ministeriale di proroga del regime differenziato applicatogli ai sensi dell’art. 41- bis Ord. Pen. Disposto con decreto emesso dal Ministro della Giustizia il 30/10/2013. Ad avviso del tribunale di sorveglianza tale regime era giustificato da plurimi elementi, costituiti dall’inserimento del condannato in posizione di rilievo nell’omonimo clan ‘ndranghetista; dalla perdurante operatività dell’associazione mafiosa attiva nell’area di Corigliano che egemonizzava e dal perdurante ruolo attivo svolto all’interno di essa dal ricorrente grazie anche al supporto di familiari allo stesso collegati. Avverso tale ordinanza il Guidi ricorreva personalmente per cassazione, deducendo violazione ed erronea applicazione di legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicazione del regime penitenziario differenziato in esame, nell’applicare il quale non si era tenuto conto del fatto che la consorteria mafiosa alla quale il ricorrente risultava affiliato risultava, da tempo, non più operativa, sulla base di quanto accertato nel processo penale denominato “Santa Tecla”. Nel marzo del 2008 dopo la condanna all’ergastolo Vincenzo Guidi si era rivolto anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva respinto il suo ricorso. : “Trattamenti inumani o degradanti; vita privata. Il ricorrente, Signor Vincenzo Guidi, è un cittadino italiano nato nel 1966. Condannato all’ergastolo per omicidio e altri delitti connessi all’attività di associazione a delinquere di tipo mafioso, il ricorrente è attualmente detenuto nel carcere di Ascoli Piceno (Regione Marche – Italia). Il Signor Guidi nel ricorso introduttivo denunciava soprattutto il regime speciale di detenzione cui era sottoposto e che imponeva, tra l’altro, limiti alle visite familiari nonché controllo della corrispondenza privata. Il ricorrente denunciava altresì di subire frequenti perquisizioni corporali e costante ripresa televisiva a circuito chiuso della cella da lui occupata. Invocava pertanto il rispetto dell’Articolo 3 (proibizione di tortura, pene, trattamenti inumani o degradanti) e dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare) della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La Corte ritiene che le limitazioni e le restrizioni connesse all’applicazione continuata del regime in questione non hanno raggiunto il livello minimo di gravità e conclude, all’unanimità, per la non violazione del citato Articolo 3. Peraltro, la Corte ricorda di essersi già espressa sulla disposizione legislativa interna pertinente al caso e di averla giudicata come base non giuridicamente sufficiente a legittimare il controllo della corrispondenza del ricorrente; ciò in violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare)”.