di Giovanni FERRARI
“La corruzione è una nemica della Repubblica. E i corrotti devono essere colpiti senza nessuna attenuante, senza nessuna pietà. E dare la solidarietà, per ragioni di amicizia o di partito, significa diventare complici di questi corrotti”( Sandro PERTINI).
“Questa società italiana appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il Governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c’è corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana e forse non soltanto italiana: nasce soprattutto dal bisogno di procurarsi l’enorme quantità di soldi che i loro partiti e le loro correnti divorano, coinvolge tutti o quasi, creando una ragnatela di reciproci ricatti”.
Norberto BOBBIO
Cari miei concittadini le elezioni sono arrivate: quante promesse, quante disillusioni, quante sorprese dopo il voto, quante amarezze, quante sofferenze, quanti peccati vi attendono, pertanto il mio appello è NON ANDARE A VOTARE. Sono sicuro e fiducioso che vincerà il partito dei NON VOTANTI.
Il crescente distacco tra cittadini, istituzioni e politica che oggi registriamo non è ascrivibile solo a qualunquismo, disinteresse o protesta, più o meno consapevole, nei confronti di una classe politica inadeguata e corrotta. E’ indice di qualcosa di più grave: una radicale perdita di fiducia di questa classe politica, nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale, che oggi interessa in particolare i più poveri e i più svantaggiati.
La nozione classica di DISILLUSIONE da una classe politica, da Aristotele in poi, è infatti inestricabilmente e fortemente legata alla dimensione politica, ogni cittadino contribuisce in modo attivo al processo di elaborazione delle decisioni collettive. Con le parole di Rousseau, è chi “partecipa dell’autorità sovrana”, laddove il suddito si limita ad essere “sottoposto alle leggi dello Stato”, purtroppo i cittadini oggi hanno perso ogni connotazione politica, qualsiasi riferimento alla dimensione dell’impegno e della partecipazione. La realtà in cui, oggi viviamo la conosciamo abbastanza bene, non c’è bisogno di molte parole per raccontarla. E’ fatta di generale stanchezza, se non di disgusto e vera e propria allergia, nei confronti della politica. Sentimenti diffusi, che si riflettono nei sondaggi che siamo abituati a leggere periodicamente sulla stampa: non solo quelle sull’astensionismo, ma quelle – per certi versi ancora più allarmanti – del declino dell’adesione a partiti e sindacati e della sfiducia generalizzata nei confronti dei “politici” e delle stesse istituzioni democratiche.
Perché questa indifferenza, questo disamoramento profondo; si tratta sicuramente di un fenomeno complesso, spiegabile con il concorso di molte cause.
Una prima possibile ipotesi di spiegazione rimanda all’intuizione di Constant BENJAMIN sul valore della libertà politica in diversi contesti storici e sociali. Di fronte agli allettamenti della società del benessere, alle inedite possibilità di vendere, comprare, svagarsi, nella sfera privata-per quanto illusorie esse si rivelino – l’esercizio dei diritti politici perde molte delle sue attrattive, sembra dunque essersi avverata la profezia di Constant: tra la “partecipazione e attiva e costante al potere collettivo” e il “godimento pacifico dell’indipendenza privata”. Una lettura nella quale non si po’ escludere che ci sia qualcosa di vero. Ma che non tiene conto del fatto, incontrovertibile, che il profilo tipico di chi oggi diserta le urne non è propriamente quello di un soggetto “soddisfatto”.
Il popolo che non si lascia ingannare tanto facilmente dalle vuote apparenze di libertà, un gioco che ormai non appassiona più nessuno e non coinvolge, chi ha perso qualsiasi speranza nella possibilità di una soluzione collettiva ai propri problemi. Se per un verso sempre più cittadini si sono allontanati dalla politica, per altro verso è la politica stessa ad essersi ritratta e sottratta allo sguardo e alla “presa” delle persone comuni.
Il fenomeno della fuga dalla politica riguarda oggi in primo luogo i ceto meno abbienti e meno garantiti. Disoccupati, precari, marginali, poveri e impoveriti rappresentano il grosso dell’esercito del non-voto e della non-partecipazione. Lo scarso interesse dei poveri per la politica riflette lo scarso interesse della politica per i poveri. La politica sembra essere diventata un “gioco di intrattenimento per la classe media” o medio-alta, dato lo scivolamento verso il basso del ceto medio colpito dalla crisi. Un gioco che non appassiona, e non coinvolge, chi ha perso qualsiasi speranza nella possibilità di una soluzione collettiva ai propri problemi.
A rendere bene questi concetti, può aiutarci, ancora una volta, un classico del pensiero politico, Alexis de TOCQUEVILLE, riflettendo sullo svuotamento delle istituzioni democratiche, gli spazi di discussione e decisione democratica fanno da contraltare sporadici tentativi di un élite sempre più screditata di riconquistare i cuori, le menti e il voto dei cittadini. Partiti che da anni non celebrano un congresso degno di questo nome, con una discussione vera sulla linea politica, che coinvolga gli iscritti e i loro delegati, celebrano “primarie” dall’esito scontato, cui gli elettori reagiscono stancamente.
Istituzioni locali sempre meno rappresentative-complici leggi elettorali distorsive e riforme di ispirazione presidenzialista-fanno a gara per inventarsi nuove forme di coinvolgimento dei cittadini: dal referendum agli esperimenti di “democrazia deliberativa”, scontrandosi con un diffuso senso di scetticismo e di disillusione. Se si aggiungono i continui episodi di corruzione e di mal governo che coinvolgono il ceto politico, non stupisce che alla disillusione dei poveri si sommi il boicottaggio consapevole degli indignati. L’impressionante 63% per cento di astenuti alle elezioni regionali del 2014 in Emilia Romagna, “regione rossa” per eccellenza, dice qualcosa in proposito… E’ il segnale di una crisi che colpisce il cuore stesso della democrazia, che sembra non essere più riconosciuta come un veicolo di cambiamento e di emancipazione sociale.
Probabilmente è fraintesa questa mia dura e drastica posizione di non andare a votare, il problema che pongo è squisitamente democratico. In base alla definizione minima – ma non povera di Bobbio, la democrazia è un metodo per assumere decisioni collettive che garantisce la partecipazione più ampia possibile degli elettori, consiste in un insieme di regole che individuano “chi” decide e “come”, lasciando impregiudicato il contenuto delle decisioni (il “che cosa”), che dipende – dovrebbe dipendere – dalla volontà degli elettori
Tutto quello che, oggi i cittadini si trovano di fronte è dunque ben più grave di una passeggera manifestazione di stanchezza democratica.
Miei cari concittadini, io non voto, auguro un grande successo al PARTITO DEL NON VOTO.
Prof. Giovanni FERRARI
DOCENTE UNIVERSITARIO