Corigliano Rossano – Il 38enne rossanese A.V., difeso dagli Avvocati Francesco Nicoletti e Giusy Acri del medesimo studio, era finito sotto processo in Veneto, nell’ambito dell’operazione antimafia “Ermes” dello scorso gennaio, con l’accusa di associazione mafiosa – art. 416 bis del codice penale – violenza privata, rapina, stalking e lesioni aggravate, unitamente ad altri soggetti ritenuti interni alle cosche ‘ndranghetiste “Tegano” e “Condello” del Reggino.
La Procura della Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia contestava al giovane e agli altri due indagati di aver inseguito una giovane donna – affiancandola, speronandola e sbarrandole la strada con l’auto – e di averla costretta a modificare il proprio percorso di marcia, a guidare a velocità elevata e con manovre rischiose per la propria vita e per il passeggero nonché per altri utenti della strada, e di averla costretta infine a fermarsi bloccandole le vie di fuga. A quel punto, secondo le accuse, l’avrebbero trascinata fuori dall’auto e costretta a recarsi all’interno di un appartamento per prendere una pistola; in quell’occasione l’avrebbero poi colpita alla testa causandole delle lesioni e si sarebbero impossessati del suo cellulare. Il tutto con l’aggravante di avere agito con metodo mafioso, consistito sia nell’evocare il collegamento con la ‘ndrangheta – attraverso i rapporti con l’organizzatore della cosiddetta cosca “Tegano” e con il promotore e organizzatore della cosiddetta cosca “Condello” – sia nell’ostentare, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare nella parte offesa quella particolare coartazione e pressione psicologica propria delle organizzazioni mafiose. In tale ambito, gli inquirenti contestavano una serie di azioni, tra cui l’invio alla vittima di un file audio contenente la registrazione “Non c’è ‘ndrangheta senza rispetto… La grande famiglia è una famiglia onorata. Chi si sente degno resta, chi non si sente degno se ne va”, nonché di un video nel quale si ribadiva che “un uomo diceva che a casa sua ci sono poche regole e che le regole vanno rispettate mostrando una pistola” e che due strisce nere tatuate sul polpaccio simboleggiavano il lutto per due persone che “ancora dovevano morire”. Oltre ad aver pronunciato alla donna frasi del tipo “… faccio una strage… sono solo la punta dell’iceberg, tu non sai cosa c’è sotto di me”, le veniva rappresentato di “avere occhi e orecchie dappertutto” riferendosi a contatti illeciti con le forze dell’ordine che avrebbero avvisato in caso di eventuali denunce.
Per tali fatti il Pubblico Ministero procedente aveva avanzato al GIP distrettuale di Venezia la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere per gli indagati. La difesa ha chiesto che il proprio assistito A.V. venisse sottoposto a interrogatorio, nel corso del quale ha avuto modo di chiarire ogni singolo aspetto della vicenda. All’esito dell’interrogatorio e delle prove addotte dagli Avvocati Francesco Nicoletti e Giusy Acri, il giovane rossanese A.V. è stato scagionato da tutte le gravissime accuse a lui contestate (Comunicato stampa).