di Franco De Luca
Era la notte del 24 giugno 1952, esattamente settanta anni fa. Nella casa dove abitava mio zio Francesco (Ciccillo) De Luca e la sua famiglia era scoppiato un incendio.
L’appartamento si trovava all’ultimo piano di un caseggiato che aveva due balconcini che davano su Via Roma, mentre l’ingresso era dalla parte opposta, su Largo Curti (Fosso bianco). Questi due balconcini risultavano pressappoco allo stesso livello dello spiazzo antistante l’imbocco del Ponte Canale, da dove si assistette ad una scena terrificante: la casa era tutta in fiamme, ma attraverso uno dei balconcini si intravedeva mio zio riverso a terra e che cercava di rialzarsi.
Nel giro di poco tempo si consumò la tragedia. Ad un certo punto si udì un boato tremendo: era scoppiata la bombola del gas.
Nell’incendio perirono mio zio, funzionario comunale, di 36 anni, la moglie Rosetta Gabriele, insegnante, di 26 anni, e due figlioletti gemelli, Gino e Mario, nati solo da pochi giorni. Si salvò soltanto la sorella di lei, Olinda Gabriele, la quale si lasciò cadere da una finestra su Largo Curti, pur riportando alcune fratture.
L’incendio si sviluppò in piena notte, verso le tre e mezza, e colse nel sonno l’intera famiglia. Inutile fu lo sforzo compiuto da mio zio per salvare se stesso e la famiglia.
Così riportarono l’avvenimento alcuni giornali locali dell’epoca.
Da “Cor Bonum” del 1° luglio 1952: ”…… La casa, fino allora tranquilla e felice, di un funzionario apprezzato, stimato e benvoluto del nostro Comune, la casa di Ciccillo De Luca, era tutto un rogo spaventoso, nel quale il nostro amico implorante si dibatteva, in eroici per quanto inutili sforzi, per sottrarre all’orribile destino che li attendeva, la moglie, due teneri figlioletti, la cognata e, se possibile, se stesso. Forse, se si fosse lasciato vincere dall’egoismo e dallo spirito di conservazione, egli sarebbe riuscito a mettersi in salvo; ma il suo animo generoso, la sua abnegazione, l’amore infinito e commovente per i suoi cari, gli fecero preferire la morte, in un vano, disperato tentativo di portare soccorso agli altri”.
“…… Il lutto cittadino, proclamato il giorno del disastro, ed i funerali imponentissimi hanno dimostrato la solidarietà di un popolo intero in questa grave disgrazia. Non si era mai vista tanta folla, quanta se n’è vista a seguire le quattro bare delle vittime, quelle dei due bambini seguite da quelle dei genitori”.
Da “Avanti Corigliano” del 22 luglio 1952: “…. I vigili del fuoco di Rossano giunsero sul posto alle ore 5,30 (pur essendo stati chiamati dai Carabinieri alle ore 3,40) e cioè quando l’incendio era ormai domato. Quelli di Cosenza giunsero alle ore 6,30. Alle ore 10, provenienti da Cosenza, giunsero l’Ill.mo Signor Prefetto Conte Marfisa, il Questore ed il Maggiore dei Carabinieri. Essi si resero conto dell’immane disastro ed insieme al Sindaco si recarono all’Ospedale per dire la loro parola di conforto alla superstite signora Olinda Gabriele”.
……….“ Il Sindaco, prof. Raffaele Amato, attraverso un manifesto, aveva invitato la cittadinanza a partecipare ai funerali, i quali furono, per volontà concorde degli Amministratori, riunitisi d’urgenza, a carico del Comune, il quale assunse anche il carico delle spese di tumulazione”.