di Antonio Aprelino. Già Direttore del Museo Castello Ducale di Corigliano.
Nel 2009 una mostra di dipinti e sculture curata dalla Framundo lo celebrava al Castello di Corigliano.
Elogio funebre letto il 21 febbraio 2022 alle esequie del maestro nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo, Roma.
Ninì non c’è più.
Il maestro Santoro non invaderà più le nostre giornate con la sua forza e energia dirompente.
È così che l’ho conosciuto vent’anni fa al Castello Ducale di Corigliano quando ero Direttore del Museo.
È apparso dal nulla come un Acheo. Forte della sua arte e sicuro del suo pensiero. Parlammo molte ore, dall’Arte alla cucina. In quella occasione mi parlò anche del suo “dolore più grande” per la perdita di sua figlia Sarah… per poi proseguire, parlandomi di Mattia, Giovanna e Valerio.
Sappiamo tutti che una conversazione con Ninì non era mai facile, mai banale. Era un vero duello. Testardo e mite allo stesso tempo. A volte ti lasciava dicendoti: “Ora basta. Non voglio parlare più”. E se ne andava per tornava alle sue cose.
Chi ha conosciuto il maestro Santoro sa che aveva il fuoco dentro. Il fuoco della passione e del sacrificio nel “fare arte”. Molti sono quelli che si sono riscaldati a quel fuoco ma anche bruciati. Era necessario stargli a una giusta distanza per lasciargli la sua libertà e solo così, anche tu, potevi godere di tanta bellezza. E sappiamo non era facile.
Ho sempre pensato che il vero artista non è colui che costruisce ponti, ma quello che li distrugge perché così facendo non può tornare indietro. Deve per forza andare avanti non avendo altra strada da percorrere e così facendo brucia nelle sue idee.
Santoro sapeva di possedere quel fuoco. Quello che hanno i veri geni. Ma sapeva anche che quel fuoco poteva spegnersi e così lo alimentava, quotidianamente, nel chiuso del suo studio.
Quando nel 2009, con l’amico Stefano Gallo, organizzai la mostra al Castello di Corigliano “al di là del tempo”, gli aveva fatto enorme piacere un piccolo articolo apparso sulla Gazzetta che lo definiva faber e non maestro. Era contento. Diceva: “Io sono questo. Un artigiano che fa sempre le stesse cose”.
Negli anni con Ninì e Giovanna ci siamo cercati, trovati, frequentati, facendo diverse cose assieme.
Come non ricordare, quando ero a Roma, il “Cenacolo del Giovedì”, a casa Santoro… con Ninì, Giovanna e Stefano.
Era contento quando lavorava. Quando rendeva “materiali” i suoi pensieri, invisibili e astratti.
Negli ultimi tempi gli riusciva difficile.
Nell’ultima telefonata mi disse: “Antonio, mi ha fatto piacere sentirti. Non ho più forze. Ho tante idee nuove ma non ho la forza di fare le mie cose. Non è più vita”.
Spesso attraversava periodi bui ma poi l’arte, sua vera passione, insieme agli affetti più cari, al canottaggio e alla Juve, prevalevano su tutto.
Una volta mi disse, piangendo, alla morte di un suo amico, ricordando Marcello Beltramme: “se ne stanno andando tutti. Uno ad uno. E io con chi parlo delle mie cose… così sto perdendo la mia memoria”. Ma poco dopo si riprese e sorridente iniziò a parlarmi dei disegni e dei colori che avevano fatte le sue adorate nipotine, Nina e Flavia.
Spesso chiamava mia madre, che gli ricordava la sua, per sapere come cucinava questo o quel piatto. L’ultima telefonata è stata per chiederle come preparava il “cedro candito”.
Da buon lucano ricordava le sue origini – a cui era molto legato – e non mancava mai di sottolinearlo. Lui, che aveva girato ed esposto alle Biennali, nei musei e nelle gallerie più importanti di tutto il mondo, tornava sempre con la mente alla sua terra, a quei paesaggi dalle linee allungate, quasi infinite, di Metaponto e che poi magicamente trasportava nelle sue opere.
Un mese fa mi ha regalato un suo quadro Fiesta. Metaponto. Omaggio. Un’opera musicale dedicata al compositore jazz Chick Corea. La prima cosa che mi ha chiesto quando l’ho ricevuta è stata: “È piaciuto ad Alice (mia figlia di 10 anni!). L’importante che sia contenta”.
Lui, che è stato amico di Giulio Carlo Argan, Stanley William Hayter, Giuseppe Ungaretti, Palma Bucarelli, Alberto Giacometti, Murillo Mendes, Lionello Venturi, Nello Ponente, Carlo Bertelli, Jacques Lassaigne, Gillo Dorfles, Maurizio Calvesi, Leonardo Sinisgalli, John Huston, e tanti, tanti, altri. Lui, che ha ricevuto per meriti artistici da Giorgio Napolitano il prestigioso premio Presidente della Repubblica ed è stato accademico di San Luca, teneva al giudizio di una bambina. E poi, il giorno dopo mi scrisse: “Godetevi il quadro e che vi porti fortuna. Un bacio Ninì”.
Grazie Ninì non tanto per il quadro ma per la tua amicizia, sincera e vera, che non è mai cosa scontata soprattutto tra i grandi.
Grazie per aver condiviso con me, Pamela e Alice momenti importanti. Come quando sei venuto al nostro matrimonio ed eri l’unico, insieme alla sposa, vestito di bianco. Quante risate.
Ma oggi le risate della memoria lasciano spazio al pianto, al dolore, alla rassegnazione.
Non ci sei più. Stai facendo un nuovo e lungo viaggio, inesplorato e che non contempla il ritorno. Non adesso. Sono certo che l’idea di questo viaggio ti affascina perché le cose nuove ti sono sempre piaciute.
Addio maestro. Addio Ninì. Fai buon viaggio.
Tutti noi ti ritroveremo nelle tue cose, nella tua Arte, in un tramonto lungo dove le linee verticali della natura toccano il cielo…. il tuo cielo! Quello di Piranesi.