Rileggere a distanza di circa settant’anni il romanzo di Albert Camus “LA PESTE”, uno dei romanzi chiave del novecento, pubblicato per la prima volta nel 1947, oggi in tempi di coronavirus, ha avuto una vera e propria diffusione delle vendite non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Ci chiediamo: “di cosa parla precisamente il romanzo di Camus?”
“come mai è tornato così prepotentemente alla ribalta in questi giorni di emergenza di Coronavirus?”
Camus nel suo capolavoro-romanzo, ci racconta in modo magistrale il dilagare di un’epidemia di PESTE, avvenuto negli anni ’40 in una città dell’Algeria, è precisamente a Orano, un male improvviso, irrazionale, devastante che travolge e spezza le vite degli uomini con una violenza cieca e apparentemente irrimediabile. In questo contesto Camus mette in evidenza quello che realmente oggi stiamo vivendo, ossia quella rappresentazione di uno stato di allarme che si dispiega in tutte le sue fasi, a partire dalla sottovalutazione e dall’incredulità fino ad arrivare, attraverso la serrata analisi psicologica dei personaggi che ripropongono la vasta gamma di emozioni, sentimenti e passioni dell’essere umano, alla constatazione di una possibile via d’uscita. Tutte le dinamiche interpersonali, affettive, politiche, economiche, che si verificano nella situazione di epidemia e quarantena sono messe in campo. Camus parla dell’esilio, che in questo caso è la separazione dagli affetti, la privazione della libertà, parla della paura della morte e dell’impotenza umana di fronte alle catastrofe naturali, il morbo della peste, come è noto, è la rappresentazione simbolica del Male. Un altro grande scrittore francese, Antonin Artaud, aveva identificato nella Peste quella potente metafora del teatro e della vita: “ il teatro come la Peste, è una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione”. La Peste è un male che anche quando viene debellato soggiace latente, pronto a riesplodere, indimenticabili sono le pagine del romanzo dedicate alla separazione degli amanti nella città di Orano, divenuta improvvisamente una città deserta, strazianti e scioccanti sono quelle triste scene di agonia, di sofferenze e di morte, questa epidemia o malattia contagiosa è stata nel corso dei secoli, raccontata da numerosi testi letterari come: “peste, vaiolo, tifo, spagnola, colera, AIDS, SARS, ebola, Coronavirus”.Nei testi letterari- romanzo, racconto, poesia, opera teatrale, saggistica-le narrazioni del contagio si soffermano su fobie, malattie, mutazioni fisiche e psicologiche, sconvolgimenti etici e religiosi, ristrettezze economiche, difficoltà di movimento, fenomeni di controllo sociale o politico.
Albert Camus non è stato solo uno dei padri dell’esistenzialismo nichilista e della teoria dell’assurdo, Algerino di nascita, attivista ed ex comunista, uno degli uomini di culto- assieme a Jean Paul SARTRE, fortemente critico nei confronti della Francia, che massacrava gli stessi algerini nel dopoguerra. La definizione di “filosofo esistenzialista”, non può che star stretta ad un pensatore libero e geniale come Camus, protagonista con la sua feconda e multiforme produzione del dibattito intellettuale francese ed europeo negli anni cruciali tra il 1935 ed il 1960, anno in cui perse tragicamente la vita per un incidente stradale con l’editore Gallimard.
Per la profonda onestà intellettuale con cui affronta i temi radicali del senso dell’esistenza e della presenza del male, Camus si rivela degno e consapevole erede di Dostoevskij, ossia quei legami profondi che uniscono il genio russo all’esistenzialismo camusiano, ispirato per tutta la vita.
Passano gli anni, passano i secoli è la storia si ripete, il Coronavirus, il trauma della malattia, l’angoscia provata dai familiari dei pazienti, la processione terribile dei carri funebri e dei mezzi impiegati dall’esercito, famiglie che si sono visti improvvisamente separati dai propri affetti, le impreviste complicanze di lutto derivate dalla pandemia, lo sforzo continuo e destabilizzante degli operatori sanitari, diventa sempre più importante fornire a queste persone un adeguato supporto umano ed esistenziale.
C’è chi ha subito il CORONAVIRUSin forma molto grave, andando incontro all’isolamento, all’angoscia ad un lungo ricovero, spesso in terapia intensiva, andando incontro al trauma della morte, allontanato dalle famiglie e non lo si vedeva più, i pazienti intubati o sedati per essere accompagnati alla morte, vivendo un dramma atroce nella più totale solitudine; tante bare esposte in capannoni comuni, senza una degna sepoltura, tutto ciò costituisce un evento traumatico, il dolore degli altri pazienti diventa lo specchio della propria pena e dei propri timori, vivendo un forte stress emotivo, ossia quei disturbi post- traumatico. Si tratta di una situazione a cui non abbiamo mai assistito prima d’ora, i familiari dei pazienti o morti si sono visti portare via i loro cari, senza alcuna possibilità di contatto e senza poter partecipare ai propri funerali.
Questa tragedia umana ed esistenziale, mi riporta indietro negli anni, ossia ai tempi in cui vivevo a Parigi per seguire negli anni settanta, i corsi di Dottorato di ricerca in filosofia all’Università della Sorbona sull’esistenzialismo francese, in modo particolare su Jean Paul SARTRE, un altro capo-scuola dell’esistenzialismo, in cui preparavo la mia tesi di laurea su:”Jean Paul SARTRE et la polémique de l’engagement” che dovevo discutere alla prestigiosa Università degli Studi di URBINO con il Magnifico Rettore e critico letterario Carlo BO.
Rileggere a distanza di tanti anni il romanzo di SARTRE: morts sans sépolture”, pubblicato da Marguerat, Lausanne nel 1946, tradotto in Italia da diverse case editrici “Morti senza tomba”; rivivo oggi, il massacro drammatico del CORONAVIRUS.
Prof. Giovanni FERRARI
Dipartimento di Studi Umanistici
Università degli Studi di Napoli “FEDERICO II”