A Vaccarizzo Albanese si crede che a Marzo escano magaret (streghe, fattucchiere, megere) che girino per le vie del paese e che entrino nelle case a fare magarìt (sortilegi, malie, incantesimi, stregonerie). Secondo la credenza popolare magaret sono creature femminili dotate di poteri occulti soprannaturali (ovviamente forniti dal demonio) e capaci di perpetrare malie a danno di qualcuno.
Si crede che le magare siano capaci di trasformarsi e assumere le più svariate forme e dimensioni e che potrebbero entrare attraverso i più piccoli pertugi e, nelle case, anche dal buco della serratura per cui, per difendersi da loro, tenerle lontane e impedire che entrino durante le ore notturne, a Marzo, dietro l’uscio si appende un coltello (thik), un rametto di ruta e un setaccio (sita); la ruta e il coltello si mettono anche sotto il materasso: la ruta le tiene lontane con il suo odore nauseante, il coltello trafigge il male e il nemico e il setaccio impedisce loro di entrare perché, per farsi strada, sarebbero costrette a forarlo sfilandone tutti i fili di cui è fatto il reticolo impiegando, così, molto tempo e intanto arriverebbe l’alba e la luce del giorno le costringerebbe a fuggire, a nascondersi e a tentare l’impresa magari un’altra notte.
Tempo fa i ragazzini preparavano lunghi filari di vecchi recipienti di latta e ogni venerdì del mese, all’imbrunire, a frotte, li trascinavano per le vie del paese facendo un rumore assordante per spaventare magaret e mandarle via; le allettavano anche con la prospettiva di un gustoso banchetto nel paese vicino, urlando a squarciagola una filastrocca che suona così:
Ikni magare! (andate via streghe)
Ecni Strigar (andate a S.Cosmo)
se possovissi gadhuri Markisit (poiché è morto l’asino di Marchese) e hani mulshi e mulshkri! (e mangerete fegato e polmone) Ormai la diffusione della cultura e le nuove concezioni filosofiche avrebbero dovuto svuotare di valore le superstizioni essendo, queste, un insieme di credenze e pratiche rituali, proprie di società e ambienti culturalmente arretrati, fondate su presupposti magici ed emotivi, non razionali. Tuttavia a Vaccarizzo e dintorni, ancora oggi, oltre a credere alle magare, perdurano altre superstizioni: si crede all’affascino, allo sfascino, al contraffascino e alla fattura, al piccio, alla iastigna e alla iettatura consistente, questa, nell’attribuire ad alcune persone la capacità di portare sfortuna mediante la loro semplice presenza.
La credenza nel piccio, cioè nel malocchio, è così radicata che gli antichi hanno elaborato il seguente detto, in dialetto calabrese: -U picciu coglie e la iastigna no- ( Il malocchio sortisce effetti dannosi, la maledizione no ), forse perché la iastigna ( bestemmia ) è una maledizione lanciata al colmo della rabbia e, quindi, non ragionata invece il malocchio è intenzionale ed è ritenuto l’espressione di una forza malefica, frutto di invidia e ostilità sorda verso qualcuno, per cui si crede che u picciaturu emani, attraverso lo sguardo, questo risentimento come fluido malefico capace di affatturare, ammaliare e, quindi, trasferire in altri sensazioni sgradevoli e opprimenti. U picciu nel piccìatu, si manifesta perloppiù con mal di testa e spossatezza perciò, per liberarsene, è necessario ricorrere allo sfascino: si tratta di andare dallo sfascinatore o mandargli qualche oggetto di uso personale necessario per procedere al rito magico.
Evidentemente, lo sfascinatore, di solito donna, è ritenuto un intermediario tra l’individuo “affascinato” e le forze magiche che lo circondano e, perciò, capace di togliere il malocchio. Durante il rito lo sfascinatore accarezza l’oggetto o la persona affascinata sulle spalle e sulla testa, soffia sulle sue mani per allontanarne il male farfugliando formule e preghiere, fa segni di croce e sbadiglia; l’affascinato, quindi, convinto delle capacità taumaturgiche dello sfascinatore, dice di sentirsi subito meglio. Talvolta, lo sfascinatore si suggestiona e comincia a sbadigliare ripetutamente, a lacrimare, a lamentarsi dicendo di sentirsi male segno, secondo lui, di forte incantesimo perciò procede a un piccolo rito: prepara una ciotola con aceto e alcuni pizzichi di sale in numero dispari con cui lava l’oggetto o il malcapitato poi sputa per terra o nel fuoco e il rimanente intruglio lo butta nel fuoco o in un crocevia a discapito di chi, passando di là per primo, si dice prenda il malessere tolto. A Vaccarizzo, di una persona che si pensa essere stata colpita dal malocchio si dice: – e murtin si ish!..- significando che la persona ammaliata manifesta dei malesseri che la rendono diversa da come era: -si ish-, appunto.
La capacità di sfascinare è di pochi ma chiunque può imparare a farlo nella notte di Natale, da chi lo sa fare. Tale potere viene trasmesso all’apprendista dallo sfascinatore, mediante la formula magica e segreta in suo possesso.
Inoltre a Vaccarizzo, di una persona che in un tempo piuttosto breve cambia aspetto e comportamento si dice: «e ndërrun magaret» (l’hanno trasformato le magare), inquietante credenza che attribuisce poteri diabolici a pericolosi esseri che si aggirerebbero tra noi.
La paura della iettatura o picciu o malocchio è grande e per tenere lontani il male, gli spiriti e le forze malefiche bisogna prendere opportune precauzioni consistenti nell’esecuzione di gesti o di riti magici come indossare amuleti, fare gesti scaramantici, toccare ferro, fare il gesto delle corna e altri…, se ci si imbatte in cose, animali o persone ritenute portatori di sfortuna.
Purtroppo, si crede anche che chiunque possa jettare u picciu per cui a Vaccarizzo e dintorni, se si fa un complimento a qualcuno, per evitare di essere fraintesi e per far capire che esso è disinteressato e non malevolo, è bene aggiungere le formule, in dialetto calabrese: «benedhica!», «for’affascino», «foramalu», «otto e nove» e altre.
Per proteggersi dal malocchio, inoltre, è bene attrezzarsi di un “contraffascino”, cioè di un particolare amuleto che fa sentire, chi lo porta, sicuro e protetto dalle forze negative che lo circondano. Esso consiste in un oggetto di piccolissime dimensioni, portatile e capace di difendere l’individuo dal malocchio in ogni momento; può essere una pietruzza di sale o un cornetto o un ciondolino con il numero 13 o koleta (astuccio, dal greco, abitiellu in dialetto calabrese). Koleta è un sacchettino a forma di cuore oppure quadrato o rettangolare, di panno o di velluto, contenente alcuni oggettini, variabili da un paese all’altro, ai quali viene attribuito un significato scaramantico particolare; generalmente sono:
–tre granelli di sale che dà sapienza,
–un pezzetto di piombo che dà saldezza di carattere,
–tre sassolini presi in un crocevia,
–tre chicchi di grano,
–un pezzetto di stoffa rossa,
–un rametto di ruta,
–l’immaginetta raffigurante il proprio Santo protettore, per averne aiuto.
Anche la casa va protetta dal malocchio, appendendo sui muri ferri di cavallo, corna di bue, campanelli, ecc.
Queste usanze superstiziose passarono dall’antichità pagana all’età cristiana e continuano a trascinarsi folkloristicamente: purtroppo, ancora oggi, però, molti credono nelle stregonerie e negli incantesimi e ricorrono, per liberarsene, a sedicenti guaritori e maghi. L’uso di amuleti e di formule magiche e la miscela di figure pagane con simboli cristiani è stato sempre deplorato dai Padri della Chiesa.