Sono indignata. Stamattina in collegamento dad le maestre di mia figlia, classe seconda elementare, comunicano a tutti noi genitori che se vogliamo organizzarci in piccoli gruppi da permettere la didattica in presenza dobbiamo compilare un modulo nel quale dichiarare, laddove c’è: la disabilità di nostro/a figlia, o un Bisogno Educativo Speciale tale da giustificarne la presenza a scuola.
Nulla da obiettare a chi vive situazioni di fragilità e vulnerabilità a cui spetta, in una comunità solidale, di non essere lasciato solo ma accompagnato nel percorso, da sentirne la vicinanza non solo emotiva ma anche fisica, concreta; diverso però utilizzare questo “lascia passare” come strumento per raggirare la regola o la legge solo per soddisfare egoisticamente esigenze e“credo” personali. Non parliamo di lezioni private ma di una scuola pubblica il cui percorso è comune; in cui la scuola è la classe, intesa gruppo compagni e maestre. Condividere un percorso significa esserci nel bello e brutto tempo condividendo le difficoltà e i limiti che sono contesti di apprendimento nel momento in cui si affrontano insieme “traghettando sulla stessa barca”…in cui possiamo prevedere scialuppe di salvataggio che implicano però i sacrifici dei più, tradotto in questa esperienza: “Tu puoi andare…non preoccuparti abbiamo modo di sentirci e vederci e per questo non devi sentirti senza di noi ma per un bene comune, io devo rimanere qui (a casa). La disposizione della chiusura delle scuole risponde ad un’esigenza che i bambini ormai comprendono perché conoscono il problema. Premetto che sono una mamma che alla chiusura delle scuole non ha gioito così come alla riapertura seppur in una situazione incerta ha portato la figlia a scuola sottostando alla decisone di chi ha il potere di disporre un ordine…condivisibile o non dovremmo essere capaci di tollerare la frustrazione per mostrare ed insegnare ai nostri figli che quel che viene chiesto è possibile e sopportabile. Il bisogno disatteso di socialità ormai appartiene a tutti, superato “oggi” da un sovra-bisogno, quello della salute collettiva. E se pensiamo che stanno ledendo dei diritti bisogna avere il coraggio di opporsi non in maniera sovversiva e né chiedendo e ricevendo complicità ed alleanze da parte di un’istituzione come la scuola che mi dice: “Voglio andare incontro a tutti, l’importante che il genitore firma per quel che dichiara. Siamo in pace”. In ogni ordine e grado ci deve essere qualcuno che sa cosa è più giusto ed in maniera trasparente deve permettere tale espressione, accettandone le conseguenze di una scelta. Questa è responsabilità. Incominciamo a chiamare le cose, i fenomeni con il loro nome così da riconoscerle e collocarle nella loro giusta dimensione: del Bene e del Male, del giusto dell’ingiusto, del bello e del brutto, senza nascondimenti.E’ una riflessione per pensare all’educazione.