1.PREMESSA
La città di SIBARI rappresenta il motore dello sviluppo culturale e socioeconomico di un vasto territorio. Nella provincia di Cosenza la Sibaritide e il Pollino costituiscono il comprensorio più vasto, omogeneo e promettente, che si distingue concretamente per gli incessanti fermenti protesi a generare iniziative per il riscatto in ogni settore della vita sociale.
L’istituzione della provincia della SIBARITIDE in questo vasto territorio, fortemente voluta da un gran numero di realtà territoriali istituzionali, dall’imprenditoria locale più attiva e dalle componenti più illuminate della società civile, è l’incontestabile acceleratore di uno sviluppo che non può essere negato, nonché di una moderna risposta di reale presenza di servizi ad alto contenuto scientifico e culturale.
Il progetto che intendo presentare all’opinione pubblica alle istituzioni ed a tutti politici di ogni ordine e grado; da destra a sinistra, si prefigge lo scopo di fornire tutti i più approfonditi elementi di valutazione che fortemente motivano l’istituzione della CITTA’ DI SIBARI, elementi che appaiono tutti coerenti anche con una programmazione territoriale regionale che non può non recepire la volontà del gran numero di Comuni del territorio che sostengono direttamente l’iniziativa.
2.INQUADRAMENTO SOCIO-TERRITORIALE: STORIA, POPOLAZIONE, TERRITORIO, INFRASTRUTTURE.
2.1 IL RETROTERRA STORICO-CULTURALE ANTICO
I territori che gravitano su SIBARI e sul POLLINO sono fra i pochi, in Italia che possono vantare una storia antica, ricca e prestigiosa.
Dalla civiltà della Magna Grecia a quella della sibaritica, dalla bizantina a quella normanno sveva e via via nei secoli, i territori citati sono fra i più interessanti e degni per avere mostrato esempi incomparabili di civiltà, di cultura, di laboriosità e di progresso.
La pianura della Sibaritide, che dalla foce del crati man mano si slarga verso la suggestiva catena del Pollino e verso l’interno, sino a raggiungere le propaggini della Sila, conserva momenti di storia che vanno oltre il ristretto dato geografico, per inserirsi a buon diritto nel cammino dell’uomo verso forme sempre più alte di civiltà, nonché uno scenario di incomparabile bellezza.
SIBARI, che dà appunto il nome alla Sibaritide, rappresenta il primo momento di tale cammino: la storia civile dell’umanità deve molto ai coloni achei, i quali nell’VIII secolo prima di Cristo, interrompendo il flusso che vedeva i Greci dirigersi verso l’Asia Minore, si diressero verso occidente, fondando SIBARI, che, a giudizio unanime degli storici, fu la più grande città dell’Italia del tempo e, comunque, quella rimasta famosa nella memoria dell’occidente europeo per la sua ricchezza e per l’alto livello di civiltà raggiunto.
SIBARI fu, infatti, uno dei più importanti centri culturali e commerciali del tempo, ed estese il suo dominio e la sua influenza su tutto il Bruzio settentrionale, dallo ionio al tirreno; Sibariti furono i coloni, che, animati da spirito pionieristico, attraversando le aspre giogiate del Bruzio, fondarono, sulla costa tirrena della Lucania, altre colonie, fra le quali le più importanti furono Lao e Scidro.
Lo splendore di SIBARI poggiava essenzialmente sul commercio, le navi sibarite, raggiungevano i più lontani porti dell’area magnogreca e dell’Asia Minore, esportando i prodotti locali (il vino e l’olio della pianura, il legname e la pece dei boschi montani) ed importando preziosi manufatti (tessuti, ceramiche, essenze profumate, suppellettili preziose).
Va sottolineato a questo punto quanto confermato da recenti scavi: tra il porto di SIBARI e le navi alla fonda vi era un collegamento di condotte a tubi per il carico dell’olio e del vino. La prosperità raggiunta dalla città è testimoniata inoltre dalla sua splendida monetazione: famoso lo statere in argento con sopra impresso il toro.
SIBARI fu, quindi, la colonia che, prima fra tutte iniziò, con le sue merci ed il suo grado di civiltà raggiunto, con il suo apporto materiale ed il suo apporto spirituale, l’opera di diffusione della civiltà greca, che altre colonie avrebbero continuato.
Distrutta SIBARI nella guerra con Crotone, fu Turi, colonia panellenica fondata dagli Ateniesi per volere di Pericle nel 444 a.C., ad esprimere l’affascinante civiltà fiorita nella Sibaritide in epoca magnogreca.
Siamo nel secolo d’oro della storia greca, caratterizzato dalla figura di un geniale statista quale fu appunto Pericle, contrassegnato da un mirabile sviluppo delle lettere e delle arti, che ebbe i suoi rappresentati in artisti e pensatori di eccezionale statura: Fidia, che seppe tradurre in divine realtà le grandiose concezioni della vita che pulsavano nell’ambiente politico ateniese, ed ancora Anassagora, Protagora, Democrito, Tucidide, illustri rappresentanti dell’illuminismo greco, che fiorì nel quinto secolo avanti Cristo.
Tale fulgore non poteva non diffondersi nella colonia di Turi, che a giudizio degli storici, riuscì a porsi sullo stesso livello di civiltà della madre patria. Assai significativa la presenza in Turi, dove morì nel 428 a.C., di Erodoto, considerato l’iniziatore della storia, indicato come colui che, per primo superando una concezione storica ristretta ad interessi locali, si interessò di eventi contemporanei di grande rilievo, prima fra tutti la guerra dei Greci contro i Persiani, sottraendo, così, all’oblio uno dei momenti più significativi della storia dell’Occidente.
Turi fu costruita secondo un piano regolatore tracciato dal celebre architetto e urbanista Ippodamo di Mileto, ricordato da Aristotele nella sua “Politica”, come colui che escogitò la divisione regolare della città. Visitando gli scavi del Parco del Cavallo, è possibile ammirare qualche tratto delle larghe strade dell’impianto urbanistico ippodameo. Da ricordare, inoltre, che Turi ebbe il privilegio di avere come suo legislatore il filosofo Protagora di Abbera, amico di Pericle, il quale, per la redazione delle leggi turine, procedette ad un lavoro di raccolta e di comparazione delle legislazioni allora esistenti, come quelle celebri di Zaleuco di Locri e di Caronda di Catania. Tra le leggi di Turi, un carattere di assoluta novità rivestiva quella relativa all’istruzione dei figli dei cittadini a carico dello Stato, quella relativa alla tutela degli orfani, alla punizione dei disertori, al divieto di accedere armati all’assemblea. Simbolo del notevole grado di civiltà raggiunto e delle elevate condizioni economiche della cittò restano le monete, simboleggianti le testa di Atena con elmo attico e, al rovescio, un toro diverso, comunque , da quello sibarita. Secoli di storia quelli passati velocemente in rassegna, diventati eredità perenne di tutti gli uomini. Preme, appunto, sottolineare questo aspetto: l’apporto indiscutibile dato dalla Sibaritide all’evolversi civile della storia, i secoli che videro lo splendore di SIBARI e di Turi rappresentano, fra l’altro, ed è il momento più esaltante, il passaggio in Occidente della “scoperta dello spirito” maturata in Grecia, scoperta che consentì all’uomo di dare una sempre più profonda e compiuta definizione del propriom essere con i diritti, i doveri e le aspirazioni che ne conseguono e di avviarsi alla conoscenza e al dominio della natura e delle sue leggi con la filosofia, la scienza e le innumerevoli attività creative dello spirito critico. Fu il momento, da parte dell’uomo, della scoperta di se stesso come ragione, come infinita capacità di crescita e di verifica. Non va dimenticato a questo punto che, qui, nella Sibaritide, Roma, chiamata in aiuto nel 284 a.C. da Turi minacciata da Lucani, venne a contatto per la prima volta con la civiltà della Magna Grecia. Fu l’inizio di un cammino, che significava il secondo affascinante momento della storia occidentale. Nel tempo, il messaggio proveniente dalla civiltà greca si sarebbe tradotto in concretezza di vita vissuta, la teoresi si sarebbe tradotta in pensiero ed azione politica. L’altezza spirituale, cui il pensiero greco aveva elevato l’uomo, costituì il presupposto, l’indicazione, la spinta per il cammino lungo il quale a Roma il singolo divenne persona ed imparò ad aprirsi alla comprensione del proprio simile, diventò il supporto per la definizione dello Stato romano, per la formulazione di quelle leggi, per le quali la giurisprudenza romana è ancora considerata maestra.
In questo breve excursus storico della Sibaritide rientrano a buon diritto le città di Corigliano e Rossano.
Oltre ad aver dato, poi i natali a San Nilo, vissuto alla fine del primo millennio, fondatore del monastero di Grottaferrata ed espressione altissima di profonda spiritualità, diffusasi oltre i confini della Calabria, Rossano conserva il Codex Purpureus, il più prezioso ed antico codice miniato che vanta la paleografia medievale. Per quanto detto Rossano rientra, appunto nel retaggio di cultura e di civiltà che caratterizza la storia della Sibaritide.
Certo, su questa zona per molti e lunghi anni scesero successivamente la dimenticanza e il silenzio: la storia presenta, purtroppo, di questi vuoti e di questi abbandoni.
Non sono mancati, comunque, nel recente passato, interventi condotti a titolo personale da vari studiosi, mirati a restituire alla luce i resti di un patrimonio archeologico così interessante. Non vanno dimenticate le ricerche condotte sa Edoardo Galli, da Ulrich Kahrstedt dell’Università di Gottingo, da Zanotti Bianco, per conto della prestigiosa Società della Magna Grecia, non vanno dimenticati i corataggi eseguiti da Donald Freeman Brown, dell’Università di Harvard, negli anni cinquanta. Non è possibile, infine dimenticare l’entusiasmo per gli studi archeologici nella Sibaritide suscitato dal sodalizio nato nella zona col nome augurale di “Ritorno a Sibari”. Si deve, infatti, a tale associazione l’avere imposto il problema archeologico della Sibaritide all’attenzione del Governo, oltre che dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale, riuscendo a d ottenere l’intervento della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti per una campagna sistematica di scavi. Gli scavi del Parco del Cavallo furono i primi e più importanti risultati della nuova attenzione con cui si guardò al problema della Sibaritide..
Tali attività che hanno consentito l’istituzione del Museo della Sibaritide, divenuto punto di riferimento per chi voglia avvicinarsi al mondo della colonizzazione greca della zona, consentono di riaprire il dialogo con le vicende che appartengono a noi, alla civiltà occidentale, e che sono il sostrato antico e nello stesso tempo l’essenza del nostro divenire storico, e danno animo a coloro i quali credono nella inscindibilità delle vicende umane, a coloro i quali ritengono che ogni momento storico ha significato solo se risalente alle sue origini e alle varie fasi che l’hanno caratterizzato nel tempo.
E nell’ambito della Pianura di SIBARI, dove trova la sua massima concentrazione, vive ed opera una minoranza etnico-linguistica stanziatasi da più di cinque secoli e frutto di una emigrazione avvenuta a più riprese dal 1410 al 1744, parliamo degli albanesi d’Italia.
Chiamati inizialmente dagli Aragonesi per sedare le rivolte contadine nel 1488, successivamente il loro esodo fu causato dalle invasioni e persecuzioni dei Turchi, esodo che raggiunse il culmine con la morte del condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg, nel 1468.
Gli inizi non furono dei più facili. Vincolati dalle disposizioni dei governanti, della Chiesa e dei vari signori locali, ebbero spesso in dotazione siti abbandonati, devastati e spesso difficilmente raggiungibili; fu solo dopo il matrimonio fra Irene Castriota, pronipote di Skanderbeg, e il principe di Bisignano, Pietro Antinio San Severino, che si applicò una politica più favorevole agli albanesi.
Dinanzi alle avversità, ben si adattarono al nuovo stile di vita popolando di viti e di ulivi le brulle colline che si affacciano sullo Ionio, formando una comunità che solo a corona della Pianura di SIBARI conta più di trentamila unità.
Consci di non aver potuto salvare la loro patria, essi hanno però salvato la loro memoria storica, il loro credo, la loro lingua, i loro usi, i loro costumi, ed il merito di ciò spetta a cultori delle paatrie memorie come Girolamo De Rada, Giuseppe Schirò o Ernest Koliqui, i quali hanno saputo conciliare la fedeltà alle tradizioni etniche con l’ammirazione per la cultura italiana.
Prof. Giovanni FERRARI
Dipartimento di Studi Umanistici
Università degli Studi di Napoli “FEDERICOII”