Alla metà del secolo scorso l’anno scolastico iniziava il primo Ottobre. [L’ultima volta in cui la scuola cominciò, per tutti, il primo Ottobre fu nell’anno scolastico 1976-’77]
A scuola andavamo senza grembiule e con la cartella di cartone color ocra lucido con il manico e la chiusura di metallo (e non tutti potevano permettersela); ci mettevamo dentro le cose indispensabili: un paio di quaderni (tipici erano quelli con la copertina nera lucida), penna, matita, gomma, un piccolo album da disegno, le matite colorate, nella loro scatoletta, il tempera-matite e uno o due libri dai fogli ruvidi e opachi e con illustrazioni dai colori lividi (a mio marito, a Corigliano, la cartella simile a questa gliel’aveva costruita in legno il padre, “mastro” Pietro Tavernise, essendo falegname).
Allora, nel dopoguerra, a Vaccarizzo Albanese, non c’era l’edificio scolastico e le classi erano dislocate nei grandi stanzoni di varie case private disabitate e prese in affitto dal Comune: mancavano dei servizi igienici e del riscaldamento; il maestro mandava due ragazzi a prendere la brace, con un rudimentale braciere, nelle case del vicinato o negli oleifici e, a turno, noi alunni ci avvicinavamo alla cattedra a riscaldarci le mani rattrappite dal freddo.
I banchi erano di legno massiccio fatti di un unico blocco comprendente sedile, scrittoio e predella, per poggiare i piedi, perciò molto pesanti da spostare per poter pulire l’aula e polvere e cartacce si accumulavano sotto questa. Scrivevamo con le penne consistenti in una lunga asticella di legno in cui veniva inserito, in un supporto di metallo, il pennino di acciaio a forma di lancetta scissa in due parti aderenti, nel senso della lunghezza; alla base della fessura era praticato un piccolo foro per rendere il pennino più flessibile (questo tipo di penna entrò in uso all’inizio del 1800); i pennini erano di due tipi (a Corigliano li chiamavano reginelle e cavallotti). Il pennino si doveva intingere nel calamaio di vetro incassato nel ripiano del banco in alto a destra e, per poter scrivere bene, bisognava saper dosare la quantità necessaria 1 di inchiostro altrimenti quello in eccesso colava e sul foglio si facevano macchie che asciugavamo con la carta assorbente (detta da noi asciugante) o con la polvere del gesso, a scuola; a casa, in mancanza di queste, con la cenere del focolare; che patacche su certi fogli e sui vestiti!
E che bacchettate prese da Mastrogiorgio! (Era detta così la lunga e grossa bacchetta di legno usata dal maestro). Però, prima di passare a scrivere con la penna a inchiostro, in prima scrivevamo solo con la matita. Il maestro iniziava con l’insegnarci la corretta impugnatura della matita, quindi procedevamo col mettere i puntini sui vertici dei quadratini e, poi, a tracciare le “aste”: in orizzontale, in verticale, obliquamente ( ottimo esercizio per guidare la mano ad acquisire precisione e la mente, ordine ). Così facendo abbiamo appreso anche i primi elementi di geometria.
Quanti quaderni abbiamo riempito con questi segni! Dopo l’esperienza disastrosa della seconda guerra mondiale bisognava ridare fiducia alla gente e ripristinare l’amore per il proprio Paese, per questo abbiamo riempito pagine e pagine, in bella scrittura, con frasi come: «Io amo l’Italia; l’Italia è la mia Patria; i colori della bandiera italiana sono: verde, bianco e rosso; ecc…». Abbiamo imparato canzoni patriottiche e, in terza, la Storia attraverso episodi in cui si mettevano in risalto l’amore e l’attaccamento alla Patria: gli esempi riguardavano gli antichi romani Muzio Scevola, Cincinnato, Clelia ecc. e abbiamo letto i racconti edificanti del libro Cuore di Edmondo De Amicis letti. Inoltre, per infondere nei giovani il rispetto e l’amore per la natura e per la difesa degli alberi, nel 1951 una circolare del Ministero dell’Agricoltura e Foreste istituì la Festa degli alberi.
Ne ricordo una grandiosa: ciascuno di noi alunni ha piantato un alberello nella scarpata sovrastante la fontana pubblica (kroi vieter), oggi è un rigoglioso bosco. Eppure, in questa Scuola “sgarrupata” hanno iniziato i loro studi ragazzi che, in seguito, sono diventati eccellenti professionisti. Allora a Vaccarizzo eravamo più di duemila abitanti perciò le classi e le strade erano piene di bambini: essendoci pochissime radio e non ancora la televisione, si andava a 2 letto presto e presto ci si alzava la mattina per cui si arrivava a scuola con largo anticipo e prima di entrare in classe giocavamo te sheshi ( il piazzale antistante la scuola ).
Quando arrivava l’autunno, la mattina presto, dalla Serra Crista scendevano i montanari (Lëtiret) con gli asini carichi di sacchi di patate, di mele, di castagne, di farina di castagne, di carbone e di semi di anice per barattarli con olio, soprattutto, ma anche con olive, fichi e paprika. I ragazzini riempivano le tasche di castagne e si avviavano a scuola sgranocchiandole; ne mangiavano anche a scuola nascondendo le bucce sotto il banco. Di quella scuola non resta niente: nella scuola di oggi è tutto bello e buono?
Corigliano Calabro, 13 Ottobre 2020 3