Provate a pensare a un regista, che volesse raccontare con le immagini la vicenda del coronavirus. Ne uscirebbe un lungo film a episodi, in cui il primo, il prologo, racconterebbe il periodo iniziale dell’epidemia, quando, chiusi in casa, cantavamo e c’era la condivisione festosa del dramma e tutti eravamo uniti dalla bandiera nazionale, che esponevamo orgogliosi sui balconi, e dalla convinzione che sarebbe andato tutto bene e che presto si sarebbe tornati alla normalità, nonostante avessimo una paura fottuta.
Il secondo, imperniato sulla vita di tutti i giorni, descriverebbe i disagi e le sofferenze delle singole persone, vissuti per fare cose semplici, come andare in farmacia o fare la spesa, lavorare, per quei pochi che potevano farlo, spostarsi, guadagnare qualcosa per andare avanti e quando bastava lo sguardo sospettoso di un poliziotto o di un carabiniere per farci sentire dei criminali. LEGGI ARTICOLO COMPLETO