“La mia verità non era una critica, ma un racconto della realtà dei fatti. Rispetto il lavoro altrui, intendevo raccontare la mia storia, cosicché possa essere d’esempio per molti altri ed evitare che gli errori si ripetano”. Torna a parlare, anzi a scrivere, il giovane concittadino di Corigliano Rossano, N.M. di anni 27, risultato positivo al Covid-19 e autore di una lettera aperta pubblicata nei giorni scorsi sul Blog. Una testimonianza, questa a firma del ragazzo, che prosegue per fornire utili spunti alla comune riflessione sull’emergenza coronavirus, replicando anche ad alcune precisazioni, legittime e puntuali, rese dai responsabili dell’Asp.
“Tutto ció da me precedentemente scritto – si legge nella missiva del giovane – è una verità testimoniabile: non sono stati segnalati alcuni sintomi nei primi giorni di aprile, poichè nessuno dei due ne presentava; non siamo scesi da alcuna nave sottoposta a fermo per possibili contagi a bordo, e vorrei sapere su quale testata giornalistica ciò è stato riportato, poiché la nave era ferma nel porto, insieme ad altre navi, per il fermo imposto dall’OMS; per quanto riguarda il volo di rientro dal Brasile, la compagnia per cui lavoro ha dovuto mettere a disposizione un volo per tutti i membri dell’equipaggio, in quanto i voli di linea sono stati cancellati più volte, ció comportava un disagio nel rientrare in italia (tutto documentabile, cercando voli Alitalia dall’aereoporto di San Paolo, nei giorni 25/26 marzo), ma le cose che più mi hanno toccato dell’articolo in risposta alla mia lettera sono: “E se fosse uscito? Se non fosse stato coscienzioso e corretto? A prescindere dal fatto che l’asintomatico, secondo quanto ci dice la comunità scientifica, non contagia se usa i comuni mezzi di distanziamento”. Allora io da asintomatico, all’oscuro della mia positività (perchè senza tampone non lo avrei potuto sapere), avrei adottato tali misure di sicurezza, come tutti, nel caso di una mia possibile uscita per necessità (spesa, farmacia), misure che peró non avrei mantenuto se fossi tornato a casa (come tutte le persone che convivono) pensando di essere sano, con mia madre, sessantenne e patologica, allora lì sì che avrei generato il primo contagio. “E le giuste precauzioni per rientrare a casa sono state dettate dal principio di precauzione o dal dubbio di essere malati e poter trasmettere il virus ai propri famigliari?”: con tale frase – prosegue il 27enne – viene messa in dubbio la mia etica morale e indirettamente addirittura in discussione il comportamento di un ragazzo che SEGUE LE NORME. Allora mi chiedo: la cosa strana ora è il comportamento di chi prende alla lettera i decreti sulla sicurezza? Quindi queste norme devono essere solo rispettate da chi presenta il dubbio? Posso ribadire che prima della telefonata del mio collega risultato positivo non avevo nessun dubbio sul mio stato di salute, ma non per questo avrei violato le norme di sicurezza mettendo in pericolo i miei famigliari e chissà quanti altri. Concludo specificando che il lavoro svolto dagli operatori sanitari in merito ai tamponi (ai quali io dovró ancora sottopormi) è il frutto di persone degne di stima, e li ringrazio per questo, la mia “critica” non era sicuramente rivolta a loro; il motivo che mi ha spinto a scrivere la lettera è stato dettato dalla volontà di rivolgere un appello alla maggiore precauzione da parte di tutti: non fermarsi ai 15 giorni d’isolamento (poiché solo al quattordicesimo giorno di isolamento io sono risultato positivo) e di prendere in considerazione con la stessa serietà gli asintomatici, poiché potrebbero essere proprio loro la causa di continui contagi”.
Fabio Pistoia