Consapevoli che il Comune di Corigliano Rossano non dispone certamente delle risorse necessarie per il recupero e la valorizzazione dei Beni Culturali dei quali il territorio è ricco, ci si permette, sommessamente, di rivolgere all’indirizzo della nuova Amministrazione una fattibile proposta: istituire una Consulta monotematica che veda riuniti soggetti istituzionali e privati per addivenire a soluzioni condivise, affinché tale ingente patrimonio non vada inesorabilmente perduto.
Tra gli esempi più importanti di archeologia industriale del territorio dell’area urbana di Corigliano v’è senza ombra di dubbio lo sttabilimento oleario che appartenne a Nicola Gaetani, conte d’Alife. Ancora oggi ben visibile in contrada Ralla, ancorché ridotto quasi a rudere, fu costruito nel 1886, in un periodo in cui i proprietari degli estesi fondi olivetati della Sibaritide cercavano nuove vie d’uscita alla crisi che in quegli anni investiva l’agricoltura meridionale.
Lo stabilimento rappresentava la risposta innovativa e produttiva alla crisi agricola di fine Ottocento, come l’oleificio del barone Compagna all’Insiti o quello del marchese Martucci a Rossano. Il cosentino Vincenzo Battaglia, dottore in scienze agrarie, che lo visitò dieci anni dopo, nel 1896, rimase impressionato da “quella vasta officina, dall’impianto di non comune modernità e dai risultati industriali ed economici eccellenti”.
L’Antico Oleificio, che si estendeva su una superficie di circa 1.100 metri quadrati, era dotato di un ampio vano centrale adibito a laboratorio per le olive. Sui lati maggiori erano due file di locali: una serviva per il deposito del frutto e per i “dormitoi” degli operai. Sull’altro lato i locali erano destinati a magazzino, “chiaritoio” e “frullino”. Su uno dei lati minori erano i vani per la caldaia, quello della motrice e quello che ospitava la dinamo elettrica. Due altri piccoli vani erano destinati ad usi di minore importanza. Al piano superiore si trovavano gli alloggi per il personale direttivo e il cosiddetto ‘olivaio’ che alimentava direttamente i frantoi posti nel vano centrale del piano terra.
Numerose e dettagliate informazioni su questo prezioso bene culturale ci sono pervenute attraverso l’Archivio Solazzi di Corigliano. I lavori di costruzione delle opere murarie, affidati a maestranze locali, cominciarono il 2 gennaio del 1886 e proseguirono senza pausa per tutto l’anno. In media, ogni settimana, si recavano al cantiere circa 30 lavoratori, partendo quasi tutti dai quartieri del centro storico. Le paghe erano differenziate a seconda della qualifica. I “muratori” guadagnavano 1,70 lire al giorno, i “manuali” da 60 centesimi ad 1 lira e 30. Per un breve periodo, in quello stesso mese di gennaio, furono utilizzati anche 25 “ragazzi” per lo scavo delle fondazioni, retribuiti con una paga che variava da 40 a 70 centesimi al giorno. Complessivamente, l’amministrazione del conte d’Alife, per questi lavori, nel corso del 1886, spese la somma di 23.890,38 lire. Mentre erano in corso i lavori di muratura, il conte d’Alife si rivolse, per la costruzione dei serbatoi dell’olio, all’azienda pugliese del marchese Curtopassi. Con una scrittura privata sottoscritta il 9 gennaio 1886, Nicola Gaetani, conte d’Alife, si impegnava a realizzare a sue spese gli scavi necessari per la costruzione dello stabilimento mentre il “maestro” Domenico Cosmai (che collaborava con i fratelli carpentieri biscegliesi Nunzio e Giuseppe Cocola di Giacomo e Vincenzo Quagliarella fu Sergio) assicurava il rivestimento dei serbatoi con “pietre della migliore qualità delle cave di Bisceglie”, che sarebbero state trasportate a Corigliano tramite ferrovia. Alcuni anni dopo, nel 1899, il conte provvide a rendere abitabili e confortevoli i locali del secondo piano della struttura, affidando i relativi lavori al “decoratore” Narciso Meucci.
Nel 2007, l’attuale proprietà privata chiese ed ottenne una licenza edilizia per ristrutturare lo stabilimento ad uso commerciale e direzionale. Oggi, a distanza di oltre un decennio, quel che resta dell’Antico Oleificio del conte d’Alife è ancora lì. Avrebbe potuto ospitare, ad esempio, un Museo dell’Olio.
Il compito di chi scrive termina qui, con l’obiettivo di riportare alla memoria un ‘tesoro’ culturale coriglianese dall’oggettivo valore storico, nonché simbolico per ciò che riguarda la sua potenziale pubblica utilità.
Fabio Pistoia