Lo scorso anno, chi scrive, seppur in punta di piedi, si occupò di un aneddoto, a metà tra storia e leggenda, caro ad alcuni residenti del Centro storico, in particolare ai più anziani. Tra storia e leggenda perché controverse le sue origini così come il reale accadimento, ma che oggi si ripropone alla luce delle numerose richieste in tal senso pervenute, quasi a mo’ di simpatia e curiosità.
Tra i luoghi del Centro storico coriglianese, con i suoi personaggi e le sue storiche attività, non può non menzionarsi via Piave (nella foto del dottor Carlo Caruso, che si ringrazia per la concessione). A questa zona del borgo antico coriglianese sarebbe strettamente connessa la “botteguccia” di Carolina “Mussolini”, specializzata nella vendita di articoli di creta.
Il piccolo locale pianoterra dell’imbocco di via Piave, sulla destra scendendo, che per anni fu il negozio di generi alimentari del signor Taverna, ospitò dal 1939, per due anni, la suddetta bottega. Il professor Giuseppe Franzè, indimenticabile insegnante e cultore di storia locale, ha scritto a proposito dell’amletica figura di questa donna.
Carolina, che già si faceva chiamare “Mussolini” dal 1935, fu una delle ricoverate presso il manicomio calabrese di Girifalco, dimessa all’inizio del 1939 su richiesta dei medici coriglianesi Giordano Bruno e Marcello Cimino, che garantirono la loro “protezione” su questa donna che da anni era fortemente convinta di avere nel proprio grembo Benito Mussolini, col quale diceva di conversare continuamente. Anche se priva di istruzione, il suo linguaggio ed il suo comportamento erano superiori a quelli della sua estrazione sociale, tanto da essere rispettata e ricambiata dai concittadini con la medesima cortesia con la quale la stessa si rapportava quotidianamente.
Carolina non sapeva leggere e non conosceva l’esistenza della radio. Eppure, era in possesso di informazioni storiche e culturali, parlava con scioltezza di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, della guerra di Spagna e di tante altre cose. “Questa sua inspiegabile “cultura” – scrive il prof. Franzè – destava molto stupore e le procurava un certo prestigio, tanto da indurre alcuni piccoli “gerarchi” della MVSN (Milizia Volontari Sicurezza Nazionale) coriglianese ad usarle particolari ossequi chiamandola persino “donna Carolina”. Quando un suo simpatizzante pittore appose sul frontale della sua bottega una targa di legno con la scritta “Casa del Duce”, la sua gioia toccò le stelle e festeggiò l’evento con una bottiglia di moscato regalata da uno dei suoi numerosi fans. Altrettanto tripudio quando le fu regalato, personalmente dal podestà Marcello Cimino, un vecchio gagliardetto nero col Fascio”.
Alla sua morte, avvenuta improvvisamente nel 1945, non in pochi la piansero, sinceramente rammaricati dal fatto di non poterla vedere e incontrare più. Una figura, questa di ‘donna Carolina’, certamente semplice ma significativa per meglio comprendere dinamiche e costumi dell’epoca.
Molti i dubbi che tuttora permangono sull’esistenza di questa donna e sulla veridicità del racconto. La vicenda, tuttavia, contribuisce a rendere ancor più caratteristica la visione odierna di scrigni di memoria incastonati nel borgo antico cittadino, tra i quali via Piave e la fiorente vita del tempo che fu.
Fabio Pistoia