“Sei di Corigliano? Ah, il paese della sindaca che è stato sciolto per mafia…”. Quante volte ci siamo sentiti rispondere così un po’ tutti e un po’ dovunque, negli altri comuni calabresi come nelle grandi città del resto d’Italia, in quest’ultimo decennio circa?
Ebbene, senza addentrarci in argomentazioni tecnico-giuridiche che non ci competono, e in attesa di conoscere le motivazioni della rel ativa sentenza entro il previsto termine dei 90 giorni, un semplice quesito si leva da un privato cittadino, anzi da più d’uno: e ora chi risarcirà l’ormai estinto Comune di Corigliano Calabro e la sua gente per il danno d’immagine inevitabilmente arrecato da uno scioglimento per infiltrazioni mafiose avvenuto nel 2011 e che, molto probabilmente, si sarebbe potuto e dovuto evitare?
Non è tanto peregrino tale interrogativo alla luce della formula assolutoria – “Il fatto non sussiste” – con la quale si è concluso il primo grado della vicenda processuale che ha interessato sia l’ex sindaco Pasqualina Straface che alcuni assessori di quella compagine amministrativa, tra i quali l’ingegnere Giorgio Miceli e il geometra Giuseppe Curia, nonché tecnici e impiegati comunali.
Oggi in tanti, in strada come sui social, in questo luglio che si avvia alla sua conclusione, luglio come quello del 2010 quando scattò l’operazione “Santa Tecla” dalla quale tutto ebbe inizio, si pongono tale legittimo quesito. Oltre alla sofferenza dei diretti interessati finiti ingiustamente sul banco degli imputati, chi potrà restituire la dovuta dignità ad una Comunità indelebilmente macchiata da tale “reputazione”? Un Comune è stato sciolto per mafia, ma la “sindaca” accusata è adesso dichiarata innocente. E allora oggi più di qualche “dubbio” si leva, insieme a tanta comprensibile amarezza.
Fabio Pistoia