(Pubblicato sul quotidiano “il Giornale” dell’8 4 2019)
Nel settembre del 1943,abitavo a ridosso della Strada Statale 106 che,attraversando Corigliano,era,in quel momento, l’arteria di transito più importante per le colonne motorizzate della 5ª Armata americana e dell’8ª Armata inglese (tanto per intenderci,quella del generale Montgomery). Non è esagerato dire che ne vedemmo di tutti i …colori.
Non fraintendetemi,lo dico nel senso che tra quei soldati c’era un variegato campionario di tutte le razze: angloamericani,italoamericani (in prevalenza con origini siciliane e calabresi coi quali il dialogo era facilitato per il loro dialetto,anche se un po’ storpiato),neri d’America, pellerossa,neri africani delle colonie inglesi,indiani con turbante,dell’India inglese.
Ma quelli che ti mettevano paura solo a guardarli,quelli ai quali non abbiamo mai chiesto “Biscuit” o “cewingum”, erano i marocchini avvolti nei loro poco marziali caffetani che sembravano ricavati da stoffa di materasso,e con la testa avvoltolata in metri di fasciatura. Erano intristemente famosi GOUMIERS,agli ordini del generale francese Juin,colui che diede loro,in Ciociaria, carta bianca per eseguire quella selvaggia barbarie di stupri e rapine che presero,appunto,il tragico nome di “marocchinate”.
Ci fu la volta che,dal camion scoperto in cui viaggiavano, seduti su rustiche panche di legno (per il loro fondoschiena, ancora ancora,era già troppo comodo)vedendo mia madre che,allora aveva 43 anni,che rincasava con mia sorella undicenne,urlarono in coro :“Belle maman,belle fille”. E mia madre,che pur non conosceva il francese,non ebbe alcuna difficoltà a capirne il significato e,con intuito ancor più raffinato,si rese conto del pericolo che poteva costituire un’accozzaglia di simili caproni ed accelerando il passo guadagnò il portone di casa che provvide a sprangare.
Per noi bambini ci volle il raggiungimento della maggiore età e,in seguito,la visione del film “La Ciociara” per capire in pieno il saggio comportamento di mia madre. Americani e inglesi erano avidi di vitamine che mancavano nelle loro razioni militari,e noi gliele offrivamo con frutta fresca e con tutto ciò che proveniva dalle nostre colture. Scoprimmo che la cosa per loro più gradita erano i nostri pomodori freschi,quelli che noi mangiavamo ad insalata, solo conditi con olio e con gli aromi della nostra macchia mediterranea.Per loro era un frutto che,come tutti i frutti, quindi,era da addentare ed ingerire.
E noi bambini ci davamo da fare per rifornirli di questo gradito prodotto,che loro reclamavano a gran voce:”tomato, tomato!”. Il generoso compenso,di solito,era cioccolata, sigarette,biscuit,scatolette di“Corned Beef”ed altre leccornie per noi,ormai,dimenticate. Una volta che avevo quasi esaurite le scorte di pomodori, degli ultimi quattro che mi erano rimasti,di forma oblunga, non sapevo cosa farne. Si fermò una camionetta.Ebbi un lampo,Disposi i quattro pomodori di cui disponevo,sul solco che riuscii a formare tra l’avambraccio e il petto.Sembravano tanti,ma tanti,che l’americano me li fece versare in un sacco che lui teneva ben spalancato perchè non ne sfuggisse nemmeno uno.
Ebbi l’accortezza di non lasciarli tracimare dal bordo superiore dell’avambraccio,ma di farli scivolare dalla parte inferiore,a mo’ di tramoggia,allentando il contatto tra petto ed avambraccio,in modo da confondere l’entità del “carico” che precipitò sul fondo buio del sacco. E una volta versati mica si mise a contarli. La contropartita fu quello che per noi era una rarità,di cui avevamo perso il ricordo sin dall’inizio del conflitto: bianco e finissimo riso che luccicava col suo candore.
Siccome in Italia si coltivava solo nel vercellese,erano anni che da noi non si vedeva più perchè destinato alle forniture militari.E non avendo un recipiente adeguato,stirai il bordo inferiore della maglietta che,essendo molto elastica,una volta allungata,a mo’ di bisaccia,riuscì a contenere diversi chili di quel prezioso alimento che lui prelevava dal sacco con la sua gavetta e versava abbondantemente,nella mia preziosa maglietta.
Mia madre,che seguiva la scena dalla finestra,mi suggerì di chiedergli anche un po’ di quello che lei,dall’alto,aveva individuato,in cassette del legno,come frutta secca affettata. L’americano non ebbe difficoltà a riempirmene le tasche ed il fazzoletto. E mia madre aveva visto bene.Erano albicocche e pesche affettate e liofilizzate,che,una volta rigenerate,diedero corpo, come indispensabile guarnitura,a squisiti dolci.E non vi dico i risotti ed i sartù di riso e le saporite croquettes che mia madre riuscì a confezionare con quel “ben di Dio”.
Ernesto Scura