Si susseguono giorni all’insegna di un’atmosfera di fervore religioso e trepidante attesa, per i residenti nell’area urbana di Corigliano, in vista del 2 aprile, festività di San Francesco di Paola. Tornano così a vibrare le emozioni nelle famiglie coriglianesi e a ravvivarsi le sensibili percezioni scaturite dall’orgoglio di appartenere ad una comunità ed essere fedeli e devoti al Santo Patrono e Protettore, al quale sono puntualmente dedicate ogni anno, verso la fine del mese di aprile, le tradizionali Celebrazioni.
In tale ricorrenza fioccano così i ricordi attinenti la festività. Come quelli sapientemente tramandati dal professor Giovanni Scorzafave, raffinato cultore di storia e tradizioni locali, che in onore della città natia e delle sue memorie ha realizzato un sito internet (www.coriglianocal.it) molto interessante e ricco di aneddoti e curiosità. Protagonista del racconto odierno è “Zu Totonno”, fratello del padre dell’autore, uomo buono e generoso, molto devoto a San Francesco.
“Un aspetto peculiare di questa ricorrenza, da un punto di vista non strettamente religioso, era la raccolta di offerte in denaro da parte del comitato organizzatore della festa. Significative erano le offerte inviate dagli emigranti devoti a San Francesco, quelle raccolte presso le famiglie, come pure quelle raccolte dai commercianti nei propri negozi. Tra questi ultimi, c’era Zu Totonno Scorzafave, che insieme a mio padre, nella sua cantina, in un grosso salvadanaio, con la figurina del Santo incollata, sin dal mese di marzo, raccoglieva offerte per San Francesco. La clientela non era tra le più facoltose della Città, pertanto la somma che alla fine si racimolava non superava mai le 70-80 mila lire. Quanti incoraggiamenti ed inviti ai clienti da parte di mio zio e, qualche volta, anche da mio padre. Ricordo che allora la quantità di vino più richiesta dai clienti era mezzo bicchiere, cioè 125 ml, detto in un linguaggio più corretto “nu mienzi quarti”, la metà di un quarto. Ai clienti più assidui e più generosi, mio zio diceva loro “minti n’offerta a San Bbrancischi, ca ti fazz’a bbona misura”, ossia “dai (metti) un’offerta a San Francesco ed avrai una buona misura (una piccola aggiunta gratuita)”. Questo espediente qualche volta funzionava e qualche monetina andava in questo grosso salvadanaio. Quando la sera del 23 aprile “si rumpiva ‘u carusielli”, si apriva il salvadanaio, quel mucchietto di monetine, quasi tutte di color oro, perché formato da quasi tutte 20 lire, poche le 50 e solo qualcuna da 100 lire, mi dava l’idea di aver trovato il tesoro di Santa Caterina, che ‘Za Peppina, una vecchietta dolcissima, raccontava a noi bambini durante quelle sere estive particolarmente calde. Ma ritorniamo alla somma di denaro raccolta. Questa, come già detto, non superava mai le 70-80 mila lire. Per quei tempi, eravamo a cavallo degli anni ’50 e ’60, era una bella somma, se pensiamo che un chilo di pane costava 100 lire, un litro di vino 160, 60 lire per andare al cinema… Mio zio, molto devoto a San Francesco, integrava questa somma di denaro raccolta con una sua personale offerta, da raggiungere sempre la somma di 130 mila lire. E così realizzava con un nastrino colorato una collana di 13 banconote da 10 mila lire, quelle con Dante Alighieri, per intenderci, emesse fino al 1963, le cui dimensioni erano 246 mm x 125 mm, e per questo venivano chiamate “lenzuolo”. Non capii allora perché questa “benedetta collana” era sempre formata da 13 banconote. Una volta stavo per chiederglielo, ma la mia timidezza mi bloccò. Solo più tardi, ma molto più tardi, capii che quel numero “13” faceva riferimento ai “13 Venerdì” di San Francesco, cioè ai venerdì che iniziano dal mese di gennaio fino a quello che precede il 2 aprile. Quando la processione passava da Via Roma, si fermava nei pressi della cantina di mio zio. Zu Totonno, salendo su un tavolo, e mio padre appena dietro di lui su una sedia, deponeva attorno al collo del Santo la già citata “benedetta collana”. Questa semplice, breve e significativa manifestazione di fede – conclude Scorzafave – si concludeva con la frase detta ad alta voce da mio zio, da mio padre e da quasi tutti i presenti: “Ebbiva San Bbrancischi, ebbiva ru Viecchji!” (Evviva San Francesco, evviva il Vecchio!). A mio zio, a mio padre e a moltissime persone che oggi non sono più tra noi, rivolgo, commosso, un mio pensiero e la speranza che possano lassù insieme festeggiare ancora e sempre il nostro San Francesco di Paola”.
Fabio Pistoia