Nel 1941,a Corigliano Calabro,noi bambini fummo testimoni di un avvenimento che ci lasciò il segno. Armando De Rosis,discendente di un ramo cadetto dei baroni De Rosis,giovane di bell’aspetto,di una invidiabile prestanza fisica,amante dell’avventura e del nuovo,conobbe,in una delle sue frequenti ed assidue “incursioni” a Roma,Alexis,una ballerina di prima fila di una nota ed affermata compagnia berlinese di spettacoli teatrali di successo. Dire che era bellissima è,forse,riduttivo.La sposò. Alta,bionda,snella,gambe lunghissime,caviglie sottili,sorriso smagliante,portamento signorile,in una parola,affascinante.
Spesso veniva a casa mia,accompagnata dal suo nipotino prediletto,Agostino,peraltro mio cugino che,impeccabilmente,vestiva “alla marinara”e, biondo com’era,sembrava,anche lui,tedesco. La cosa che più gradiva,da mia madre,era una fetta di pane,un po’ di strutto che vi spalmava sopra,ed una spolveratina di zucchero.
Credetemi,una leccornia.Oggi,manco a parlarne. In quelle occasioni mio padre si premurava a tirare fuori una vecchia bottiglia di un generoso passito di cui,ogni anno,non mancava di metterne da parte qualcuna.
Alexis,felicissima,canticchiava le canzoni allora più in voga:Fiorellin del prato…;ba,ba,baciami piccina..; Bambina innamorata…;parlami,d’amore.Mariù…. Ma quando,assecondando le nostre insistenti richieste,intonava “Lilì Marlene”,in tedesco,tutti noi, incantati,ammutolivamo,per non alterare l’atmosfera più che magica,quasi per non inquinare la sacralità di quel coinvolgente “rito”.E la gutturalità della lingua tedesca si spalmava nella dolcezza di un’abile espressività canora che solo Alexis sapeva dare,ad una canzone di tono militaresco,conferendo a quelle note,quasi cadenzate dal rude…”passo dell’oca”,una dolcezza ed una tenerezza che persino noi,bambini, eravamo in grado di cogliere.
Quando,poi,si riferiva al marito,nella tipica pronuncia germanica,la r quasi spariva,e noi,a quell’ “Amando” che ne veniva fuori,attribuivamo ulteriori intenzioni di un’affettuosa manifestazione di quel forte sentimento d’amore che,indubbiamente,era alla base del legame tra i due.
E sempre più ci rafforzavamo nella convinzione che tutto ciò che era tedesco era ineguaglabile,tutto e, perchè no,anche,e soprattutto,le donne. E pensare che le pur brave sorelle Kessler erano ancora da venire.
Ma,nel confronto,ci avrebbero rimesso le Kessler. Io (otto anni) e Narduzzo (tre anni più di me),direi che ne eravamo affascinati,incantati e,chissà,se non anche,tacitamente,addirittura… “innamorati”. Stringemmo un patto (d’acciaio):
“Mai sposeremo una di quà”.
Dovevamo aspettare fino a trovarne una…”di là”. E “di là” non voleva,per forza,dire Germania (allora non conoscevamo il termine esatto: mittel-Europa). Finì che solo io tenni fede al rispetto di quel “patto”. Narduzzo,diplomatosi alle magistrali,a ventidue anni conobbe,mise incinta e sposò una sua collega. Roba da record dei primati,sia sotto il profilo della rapidità d’invaghimento,sia nella incomparabile capacità di sveltezza nell’infrangere i “patti”.
E la sua vagheggiata “vocazione” mitteleuropea si confinò,tristemente,nella ristretta area cosentina. Io,già nella scelta di Trieste quale sede universitaria, facevo presagire la mia voglia di aspirazione a quella “coltura”e a quella “cultura”.
Trieste,l’italianissima “austro-ungarica”Trieste,non é forse la porta della mittel-Europa? Ma quanto fu lunga quell’attesa,condizionata,sempre, dai vincoli di quei severi “canoni” estetici che mi ero imposto di rispettare.E ne valse la pena.E come! Grazie,Alexis.
Ernesto Scura
P.S.
Ma quanto erano labili i “patti” tra …italiani,specialmente quelli “d’acciaio”,e specialmente quando c’era di mezzo… la Germania.