In occasione della “Giornata del ricordo”,che cade appunto oggi,ho ritenuto opportuno ripubblicare uno stralcio di un mio vecchio articolo in cui racconto di aver condotto i miei due affezionati “cuccioli”,nel senso dei due miei “allievi” prediletti di goliardia e di politica universitaria, a cui avevo lasciato il testimone delle mie battaglie universitarie, condotte all’Università di Trieste,a visitare la Foiba di Basovizza. Ne rimasero sconvolti,ma mi onoro di aver loro rivelato una realtà che nessuno fino a quel momento,gli aveva raccontato.Il caro Ciccillo Luzzi, purtroppo non c’è più per “ricommuoversi” a quel ricordo,ma Giovanni Avolio non manca,ogni volta,a quel ricordo,di dare sfogo alla commozione.
Terminato il pranzo al ristorante “LA BORA”,sull’altipiano carsico, (era il lunedì di Pasqua) chiesi a Giovanni Avolio e Ciccillo Luzzi: Siete mai stati alla Foiba di Basovizza? Ed entrambi: mai. È appena ad un chilometro da quì.Venite con me.Ritengo che per la vostra cultura,tutta improntata alla civiltà triestina,è necessario che vi rendiate conto in che città martire avete vissuto in questi anni. Ed è bene che sappiate che,ad appena due chilometri da quì,al di là di un’infame frontiera,vivono gli aguzzini di quei martiri.
Ci recammo sul posto e feci notare un grande lastrone di cemento che copriva la bocca di quella voragine,essendo stato impossibile, all’epoca,riesumare le salme,come avvenne per tutte le altre foibe. Qui,per la grande profondità e per le difficoltà di discesa e risalita, si preferì rinunciare all’mproba fatica coprendo il tutto con l’enorme piastra che copriva la vergogna,il dolore e la rabbia, accettando solo il pianto ed il ricordo dei sopravvissuti.
E non fu nemmeno possibile,come per le altre foibe,procedere alla “conta” delle vittime della barbarie comunista. Si seppe soltanto che i miliziani titini rastrellavano a Trieste quanti più italiani potevano (non occorreva,nel modo più assoluto,che fossero fascisti,bastava essere italiani) e poi, legati l’uno all’altro con fil di ferro,come nella corona del Rosario,venivano disposti sul bordo della foiba,dove si sprecava un solo colpo di pistola,sparato alla tempia del capofila che, con un calcio,veniva spinto nella foiba. Precipitando,si tirava dietro,ad uno ad uno,tutti gli altri,appunto come i grani di un Rosario..(la più spiccia delle “pulizie etniche”).
Si riuscì,soltanto,di valutare in 500 metri cubi,il “volume” di salme contenute nella voragine,con una semplice operazione matematica: conoscendo,da antecedenti rilevamenti,la profondità della foiba e, procedendo al rilevamento attuale delle misurazioni di profondità, nonché sulla scorta di ben precise vecchie rilevazioni speleologiche della superficie interna,si arrivò a formulare quella cifra. E sebbene sia estremamente penoso misurare l’entità dei morti con una unità di misura volumetrica,come si fa,ed è già ripugnante il solo pensiero,per il letame,è tutttavia di aiuto per valutare l’entità della barbarie che,quella sì, non ha bisogno di unità di misura.
Ernesto SCURA