(Pubblicato sul quotidiano “il Giornale” del 7 5 2017)
1942.Corigliano Scalo ospitava un nutrito contingente tedesco che si era sistemato a ridosso dell’abitato. Gli ufficiali si sistemarono in rustici monolocali a schiera, costruiti,un tempo,dai proprietari di uliveti,per alloggiare le raccoglitrici di olive che,d’inverno,dai monti,venivano a valle a svolgere quel duro lavoro.Ma era anche occasione per svernare in climi miti che favorivano anche intrecci amorosi occasionali e,spesso,molto duraturi,se non, addirittura,coronati da…matrimoni.
Dei tedeschi,Il comportamento,era irreprensibile. Gli ufficiali strinsero rapporti di amicizia con i proprietari dei terreni circostanti coi quali,spesso,si intrattenevano, ospiti graditi,in amichevoli conversazioni e,dei quali,erano, molto spesso,ospiti a pranzo o a cena.E ciò si ripeteva con imprenditori e commercianti e,talvolta,con i più colti ed affermati professionisti.
E la truppa non fu da meno,scambiando analoghe cortesie con la popolazione in un reciproco rispetto.Insomma si può dire che familiarizzarono con la gente del posto. Sapemmo dopo,dalla filmografia e dalla stampa della “cattiveria”dei tedeschi (fucilazioni e deportazioni erano parole che nessuno immaginava di accostare alla parola “tedesco”).
Tutti quei tedeschi,comunque,ebbero modo di apprezzare le specialità della cucina locale e,in modo straordinario,i frutti locali,per loro “esotici”.Arance,olive in salamoia o comunque preparate,fichi freschi e secchi e,grande novità, i fichi d’India,che le mani esperte dei venditori sapevano servire già sbucciati,e loro afferravano ed ingerivano con voluttà. Si raccontava di un giovane soldato che,alla vista di una pianta di fichi d’India,non si seppe trattenere e,prima di essere avvertito,cominciò a raccoglierne a mani nude e a gettarli dentro la camicia,non disponendo di recipiente. come si usava fare,dalle sue parti,con le mele.
Poverino,solo dopo si accorse che la buccia è piena di piccole fastidiosissime spine che,entrate nella pelle, fanno soffrire le pene dell’inferno. E ci fu,anche,un episodio che restò nella memoria di tutti: Un soldato tedesco,incrociando una gallina sbandata,non si seppe trattenere e commise l’imperdonabile leggerezza di impossessarsene e cucinarla,con i commilitoni.
La padrona della gallina andò a lamentarsi con il severo comandante della piazza che,venendo a conoscenza del fatto,”grave” per la disciplina germanica,individuò subito il responsabile ed impartì la punizione che,per il “buonismo” caramelloso di molti italiani,fu ritenuta troppo “severa”. Subì il dover essere legato al palo,dalle sette del mattino alle sette di sera,sotto la sferza del sole d’Agosto. Da noi la cosa vive,ancora,nel ricordo dei…sopravvissuti. Ciò che di loro più colpiva era la correttezza e l’efficienza. Fui presente,una volta,nell’unico ristorante della Stazione di CORIGLIANO,lo storico Ristorante Albergo de Pasquale.
Un gruppetto di militari tedeschi era al bar per il caffè. La radio del bar comincia a trasmettere il Giornale Radio richiamando l’attenzione di tutto il pubblico,sempre avido delle ultime notizie dai vari fronti.
Ma il comportamento di quei tedeschi fu esemplare. Smisero di parlare tra di loro e,quasi in posizione del “sull’attenti” ascoltarono quel notiziario.Qualcuno buttò perfino la sigaretta che stava fumando per non essere distolto,in alcun modo,dall’ascolto. Beninteso,tutti capivano l’italiano,anche se lo parlavano un po’ storpiato.
Dopo il 25 Luglio del ‘43,il loro atteggiamento cominciò a diventare guardingo e sospettoso ed i rapporti con i civili si limitarono ad una fredda scortesia formale. Quando si ritirarono,per attestarsi sulla linea Gustav di Montecassino,ebbero ordine di bruciare tutto ciò che non potevano portarsi dietro.
Ma il soldato responsabile del rogo,in deroga al rigore teutonico,finse di non accorgersi delle tante mani che, con destrezza tutta italiana,sottraevano alla fiamme preziosi capi di vestiario,stivali,indumenti intimi ed altro. E non è da escludere che anche la padrona di quella “maledetta” gallina possa aver partecipato al …”festino”.
Ernesto SCURA