(Pubblicato dal quotidiano “il Giornale” del 27settembre 2018).
C’è un posticino incantevole,tra Corigliano e Rossano (ora Conune unico),adagiato sulla collina,a 600 metri di quota,con vista “mozzafiato” del Mare Jonio. È il Pathirion.Un’antica abbazia basiliana ormai diruta con una bellissima chiesa in stile bizantino restaurata, con molta cautela e garbo,negli anni 30.
Il tutto immerso nel bosco della macchia mediterranea. Il posto,almeno allora,ospitava anche una casermetta della guardia forestale, con alloggio dell’addetto.
Nel 1943,durante la settimana di Pasqua che sopiva un po’ le ansie e le paure dei bombardamenti aerei,per quel sentimento religioso predominante,io,che avevo 10 anni, con fratelli e coetanei,che abitavamo nella periferia di Corigliano,rosicchiavamo qualche biscotto dell’antica tradizione pasquale che le mamme,pur tra mille difficoltà, riuscirono a confezionare.
Quand’ecco sopraggiungere due cavalli.Uno cavalcato da un uomo solo,l’altro ospitava un uomo che sulla stessa sella sorreggeva,abbracciandola,una donna.Erano anni, ormai,che lo scalpiccio di cavalcature sostituiva sempre più il rombo di motori,per la penuria di carburanti. Venivano dal Pathirion.I due dovevano prendere l’autobus per recarsi alla Stazione ferroviaria di Corigliano e prendere il treno.
Interrompemmo i giochi per guardarli.Lei aveva bellissimi capelli biondi ondulati,occhi azzurri e pelle chiarissima. Scesa da cavallo,notammo che era in preda ad un frenetico impulso a gesticolare con le braccia,in continuo movimento incontrollato,accompagnato dalla contrazione dei mimici facciali in un instancabile agitarsi.
Mia madre,vista la scena dalla finestra,invitò l’uomo a salire un casa.E lui spiegò che era il milite della forestale del Pathirion dove,sposini freschi,si erano insediati da pochi mesi.Lei sembrava felicissima della nuova vita e del posto e delle pochissime persone che incontrava. Erano veneti.Da qualche giorno erano sopraggiunte quelle convulsioni.
Ricordo mia madre che le afferrò con dolcezza le mani e ne notò la forte reattività.Le accarezzò i capelli ed il viso,e lei sembrò assecondare quelle carezze. Poi mia madre,prese una bacinella e le lavò il viso e le mani che il marito disse di non averle mai potuto lavare per il suo continuo agitarsi.E una volta pettinata brillò in tutta la sua bellezza.E le uniche prime parole che le sentimmo proferire fu una serie indefinita di “grazie”. E mia madre si commosse,e il marito si commosse. E tutti noi ci commuovemmo.
Poi l’accompagnatore portò via i cavalli e loro presero posto sull’autobus non mancando di continuare a salutare con le mani (lei specialmente).Non ne sapemmo più nulla. La triste settimana di Pasqua è detta anche “di Passione”. Quella del 1943 lo fu più delle altre.E,probabilmente non a caso,il termine “pathirion” si adattò,in quella triste occasione,a significare la sofferenza di quegli sposini.
Ernesto SCURA