Decoro, funzioni e sicurezza per “u Ponte i Ciota-ciota” e il cosiddetto “Arco”
Non si tratta di ponti transitati quotidianamente da migliaia di automobili e tir, né tantomeno di viadotti. Costituiscono, comunque, esempi di strutture storiche virtuose nell’Italia odierna che crolla, a dispetto dell’incedere del tempo e, a ragion veduta, del rispettivo valore di pregio artistico e culturale.
Il primo, denominato ‘Ponte Margherita’, attraversa il torrente Coriglianeto e, con la Chiesa del Carmine alla sua sinistra, funge da ingresso e biglietto da visita a quel presepe incastonato tra il verde delle annesse campagne e l’azzurro del cielo che lo sovrasta, ossia il centro storico cittadino. Non è un caso, per la sua posizione, che portava il nome, come riporta il Catasto onciario del 1743, di ‘Ponte del Pendino’. Ancor prima, tuttavia, risultava essere volgarmente noto come “u Ponte i Ciota-ciota” e si trovava, in epoca antecedente alla costruzione della strada statale 106, nella seconda metà dell’Ottocento, poco più a est rispetto a quello attuale, dunque lungo il tracciato della vecchia via di accesso al paese. Decisivo il suo ruolo nell’evolversi della comunità locale; basti pensare, nel 1911, alla teleferica, che scendeva lungo il Coriglianeto trasportando il legname dalla montagna fino allo stesso Ponte Margherita.
Il secondo, il cosiddetto ‘Ponte Canale’ o ‘Arco’, con i suoi venti metri d’altezza domina l’antica Via Roma ed è tra i primi monumenti visibili per chi attraversa il centro storico. Costruito in stile romanico, in mattoni rossi ad arcate sovrapposte, cinque più grandi e sette più piccole, il Ponte Canale o “Arco” rappresenta una delle più significative testimonianze del patrimonio artistico-culturale locale. Secondo la tradizione, si deve al Patrono della città, San Francesco di Paola, la costruzione di questo vecchio acquedotto che consentiva di portare l’acqua dalla collina al borgo antico. Il monumento ha, tuttavia, una storia ben precisa che ne evidenzia il prestigio e la funzionalità. Nel 1480, dopo aver individuato una ricca sorgente di acqua potabile, si pensò ad un ponte per raccordare, sull’antica via delle Furche (poi Via Nova e Via Roma), i due Cozzi del Vernuccio e della Cittadella, con spese a carico della civica Università locale, al fine di poter garantire un adeguato approvvigionamento idrico ai quartieri del Serratore, della Giudecca, dei Vasci, della Portella e del Castelluccio. I lavori, iniziati attorno al 1482, furono interrotti quando fu imprigionato il principe Girolamo Sanseverino con l’accusa di essere uno dei maggiori sostenitori della congiura dei baroni contro il re aragonese di Napoli. Sarebbero poi ripresi nel 1487 per decisione del neo governatore aragonese di Corigliano, Giovanni Nuclerio, che, per la realizzazione di tale ardita opera, reclutò numerosi carpentieri della Giudecca locale e impose all’Università l’applicazione di una nuova tassazione.
Nei primi decenni dell’Ottocento, la novità: non era più sufficiente l’acqua portata da San Francesco, per cui il Comune decise di realizzare un nuovo acquedotto capace di soddisfare le esigenze della popolazione. Si stabilì inoltre di ristrutturare il Ponte Canale, al fine di utilizzarlo come transito per i cittadini che dovevano andare da un colle (San Francesco) all’altro (Castello). A curare il tutto ci pensò l’architetto Francesco Bartholini che, nel 1852, fece innalzare due muretti di guardia sul pianerottolo del ponte, con dei passamano in pietra tufacea lavorata. Ma l’avanzare degli anni non si accompagnò all’incuria degli uomini. Nell’ultimo decennio, in particolare, si mise mano al restauro e alla messa in sicurezza dello storico manufatto, con lavori conclusi di recente, poiché la parte centrale e superiore dello stesso erano stati frattanto avvolti dal degrado.
Nessun paragone, pertanto, per dimensioni e funzioni, con le mega-opere autostradali disseminate in tutta Italia e delle quali tanto si parla, adesso, a seguito della tragedia di Genova. Tuttavia, opere del tempo che fu ma capaci di far riflettere, in questi giorni grami, sulla saggezza degli uomini e sulla capacità di resilienza.
Fabio Pistoia