Dal 1° Volume de “Le Botteghe di una volta” di Corigliano Calabro, pubblicato dalla Libreria ”Il Fondaco” il 10 aprile 2016.
Luigi Madeo, figlio di Antonio, classe 1845, e di Caterina Spina, filatrice, nasceva il 19 agosto del 1895, in via Serraturi. Ad appena 9 anni, nel 1904, sotto la tutela di un suo parente, partiva per l’Argentina, destinazione Buenos Aires, in cerca di fortuna per un avvenire migliore rispetto a quello che il nostro paese, in grave crisi economica agli inizi del secolo scorso, gli poteva offrire.
Dopo circa undici anni, il giovane Luigi, allo scoppio della prima guerra mondiale, sentendo molto il richiamo della madre Patria, ritornava a Corigliano per arruolarsi come soldato volontario nell’esercito italiano per combattere a fianco dei suoi connazionali. Anni duri. Tutto era difficile all’interno di quelle strutture quasi sempre provvisorie, chiamate trincee. Sempre pronto con il costante terrore di ricevere l’ordine di prepararsi all’assalto. Luigi, nonostante tutto, e, quasi sempre, in prima linea, faceva parte dei soldati più coraggiosi, da meritarsi, dai suoi compagni di battaglia, l’appellativo di ”combattente”.
Finita la guerra, Luigi ’u Combattenti, così l’appellativo si era trasformato in un simpatico soprannome, faceva ritorno in Argentina per riprendere il suo carretto pieno di frutta e verdura e girare per i quartieri di Buenos Aires. Ma solo per poco tempo. Il 1920, tornava, di nuovo, a Corigliano, sposava la signora Rosaria Dima e solo il tempo di vedere nascere il suo primo figlio, Domenico, perché ancora una volta ripartiva per la terra promessa: Buenos Aires.
Riprendeva ancora una volta, come molti emigrati coriglianesi di allora, un suo nuovo carretto e dai mercati generali si dirigeva verso quegli stessi quartieri della città che lo avevano visto qualche anno prima a vendere frutta e verdure.
Ma il destino, ancora una volta, si accaniva contro di lui. Per la terza volta, non si realizzava il suo sogno argentino, a causa di un intervento chirurgico mal riuscito ad una sua gamba. Pertanto, era costretto, definitivamente, a preparare le valigie per ritornare, definitivamente, alla sua Corigliano.
Circondato dall’affetto della sua famiglia, il soldato coraggioso non si perdeva d’animo. Da subito, si occupava un po’ di tutto e in particolare di agricoltura. Ma per la sua gamba malandata e su consiglio di un suo amico e pasticciere siciliano, che aveva conosciuto in Argentina, un certo Giovanni, apriva in Piazza del Popolo al n. 19 un bar, dove prima c’era stato quello di Marco Santolucido.
A proposito di quest’ultimo, per capire il contesto sociale degli inizi del secolo scorso, mi sembra doveroso riportare, integralmente, uno stralcio di un articolo del 1958 di Angelo Mazziotti: All’Acquanova, dov’è adesso il ”Combattente”, vi era Marco Santolucido, sempre allegro, sempre gentile. Se il suo caffè non era assolutamente puro, era però corretto da una infinità di schizzi di liquori vari. Una volta ”inventò” il caffè degli ubriachi della domenica sera, ovvero aggiungeva nella tazzina un cucchiaino di caffè in polvere, così che quella ”zuppa” si poteva berla e nel contempo mangiarla. Gli ubriachi la trovavano gustosa ed erano convinti che effettivamente faceva svaporare la sbornia.
Ecco, una piccola parentesi per evidenziare la fantasia e l’ingenuità degli uomini di quei tempi. Ma ritorniamo a zu Luigi ’u Combattenti.
I locali del bar, in Piazza del Popolo n. 19, non godevano di grandi spazi. Praticamente, un monolocale, di circa trenta metri quadri, e una piccola stanza facente funzione di deposito.
Di fronte all’unica porta d’ingresso, un banchetto con una grande macchina da caffè, una Simplexdegli anni ’20, e tre tinozze, di cui una grande per la preparazione del gelato e le altre due più piccole per la conservazione dello stesso gelato prodotto. Il figlio ’i zu Luigi, Francesco, attualmente titolare di un bar a Corigliano, in viale Rimembranze, e di una gelateria a Schiavonea, in via della Libertà, conosciuto meglio come Ciccillo ’i ru combattenti, mi descriveva dettagliatamente questa antica macchina, completamente manuale, per la preparazione del gelato.
Questa consisteva in una tinozza cilindrica, al cui interno c’era un contenitore di piombo, della stessa forma, collegato ad una pala, per la mantecazione del gelato, che si faceva girare, manualmente, tramite una manovella. Dopo aver riempito con ghiaccio e sale l’intercapedine tra la tinozza e il contenitore, si chiudeva quest’ultimo con un coperchio in legno per trattenere meglio il freddo, che raggiungeva la temperatura di circa 20° sotto zero. Quindi, si versava la miscela preparata per fare il gelato, girando continuamente la manovella – oggi con l’energia elettrica è tutto più semplice, ma allora con le braccia era tutta un’altra musica -. Una volta che il composto iniziava a rassodare alle pareti del contenitore di piombo si teneva smosso con una paletta di legno fino a quando raggiungeva una certa consistenza. Dopo qualche minuto, il gelato pronto si trasferiva negli altri due contenitori di piombo, per essere conservato ad una temperatura costante, aggiungendo di tanto in tanto ghiaccio e sale nell’intercapedine tra le tinozze e i pozzetti.
Nella parte sinistra del locale del bar, c’era un semplice e vecchio bancone di sevizio con un retro banco, dove c’era di tutto. Non mancavano mai grandi vassoi di dolci, prodotti di pasticceria, fatti in casa dalla famiglia Madeo. In particolare, dalla moglie, Rosaria, e dalle figlie, Maria, Ninetta ed Elvira, che avevano imparato bene come realizzarli, seguendo le indicazioni di quel certo Giovanni, pasticciere siciliano, che Luigi aveva conosciuto in Argentina.
Nella parte destra, invece, numerose mensole per l’esposizione delle bottiglie di liquori e di vini – inizialmente si vendeva anche il vino locale sfuso –
Poi, come già detto, a fianco delle tinozze, salendo due o tre gradini, una piccola apertura che dava l’accesso ad una stanzetta, con una finestra protetta da una grata, che dava su via Montesanto, facente funzione di deposito, e non solo. Infatti, in questo posto angusto, ma molto accogliente per gli amici di Luigi, c’era ’na furnacella, un fornello a carbone, che veniva utilizzato per i cosiddetti cuzzivigghji – Il gozzovigliare con amici, durante le ore di chiusura, nelle botteghe era un classico di una volta della città -.
Ecco, così si presentava alla fine degli anni ’20 e sino ai primi anni ’40, il bar ’ì ru combattenti.
Il bar era sempre aperto durante le ore diurne e serali e veniva gestito dall’intera famiglia Madeo: chi a casa, a preparare i dolci, chi al bar a somministrare bevande, caffè… e a girare la manovella per la produzione del gelato. Tra i figli di Luigi, anche il giovane studente liceale Giovanni, che in seguito insegnerà Ragioneria, alla facoltà di Economia e Commercio di Genova. Un ottimo docente universitario, scomparso pochi anni fa, stimato e apprezzato in molti ambienti di Genova e dell’intera regione Liguria.
Agli inizi degli anni ’40, il bar veniva ristrutturato.
Di fronte alla porta d’ingresso, non più il banchetto, ma una bellissima e comoda cassa.
Sulla parte sinistra del locale, un lungo nuovo banco di servizio con un’ottima macchina da caffè, una Augusta, che garantiva un espresso aromatico e speciale, e una moderna Cattabrigaper la produzione del gelato. All’interno del banco un comparto frigo per le bibite e una parte riservata ai pozzetti per la conservazione del gelato. Poi, un elegante retro banco, fatto di ripiani per l’esposizione di liquori, nella parte alta, mentre, in quella bassa, ripiani a cassettiera. In breve, il Bar del Combattente si era adeguato ai nuovi tempi moderni, diventando uno dei migliori bar della città, dando lavoro a molte persone, come a Leonardo Iaquinta, conosciuto come Nandiuccio, Antonio Vigilante…
Ancora una volta, vi voglio riportare un breve documento storico, un trafiletto pubblicitario del quindicinale Cor Bonumdel dicembre del 1945: ”L’albero di Natale al Caffè del Combattente/ Grande assortimento di torroni, caramelle, cioccolato/ Tutte le specialità della Venchi – Unica Torino“ Dunque, cosa era questo albero di Natale? Semplice. La famiglia Madeo, durante le festività natalizie, addobbava, all’interno del bar, un grande albero di Natale con dei dolci decori: torroni, caramelle, cioccolatini… e anche qualche bottiglia di vino, nella parte bassa dell’albero. Insomma, un albero di Natale, che era un bendiddio. Questo delizioso albero, così ben preparato, veniva riffato, con il tradizionale sistema dei novanta numeri del lotto, il 6 gennaio, all’Epifania. Colui che aveva acquistato il biglietto vincente, che allora costava 150 lire, si aggiudicava l’albero con tutte le sue delizie.
Un modo, come tanti altri, suggestivo per animare le festività natalizie, dal momento che da pochi mesi era terminata la cruenta seconda guerra mondiale. Anche questa è storia.
Luigi Madeo, uomo intraprendente e di grande intuito, nel 1946, insieme al commerciante Gabriele Sangregorio e ad un certo Piluso, apriva, per il solo periodo estivo, un piccolo bar in Vico 3 Rimembranze, al n. 1, una traversa del famoso e lungo viale ’i San ’Mbrancischi. Un viale famoso, perché negli anni ’40, ’50 e ’60 era un luogo di passeggio per moltissimi coriglianesi. Caratteristici e accoglienti i numerosi tavolini con le sedie messe sul marciapiede antistante il locale, lungo il viale principale. Si prestavano molto bene alle soste delle coppiette, che con la scusa di mangiare un gelato o di bere una bibita fresca, finalmente si potevano scambiare qualche messaggino d’amore. La gestione di questo piccolo bar durava solo una stagione. L’anno successivo Luigi Madeo e figli, per il periodo estivo, posizionavano, qualche metro prima del portone delle scuole elementari di viale Rimembranze, praticamente sotto le prime tre finestre del fabbricato, un chioschetto in legno di forma ottagonale. Molto accogliente e caratteristico, ma che per la sua struttura in legno aveva continuamente bisogno di manutenzione. Così, dieci anni dopo, nel 1956, veniva sostituito con uno in muratura. Si trattava di un localino, a forma sempre di chioschetto, che diventava, nel periodo estivo, un punto di riferimento per tutti coloro che passeggiavano ’a San ’Mbrancischi.
Un’altra data importante per il bar ’i l’Acquanovadella famiglia Madeo è il 1948. In questo anno, l’amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato assegnava al bar del Combattente una Ricevitoria del Totocalcio, una delle prime della provincia di Cosenza. Iniziava, così, nei primi anni ’50, anche per molti coriglianesi, il sogno di fare tredici al Totocalcio, cioè di diventare milionari. Qualcuno ci riuscirà: Giuseppe P. – Antonio S. – Antonio T. – Umberto V. – Luigi M.
Il bar la domenica pomeriggio diventava anche un luogo di ritrovo per ascoltare la famosa trasmissione radiofonica di Rai Radio 1, tutto il calcio minuto per minuto, dedicata alle radiocronache in diretta del campionato italiano di calcio, condotta da Roberto Bortoluzzi. Mentre la sera, numerose persone stazionavano davanti al bar, con gli occhi fissi all’insù, a visionare la serie degli ”1”, delle ”X” e dei ”2” su quella targa-tabella in metallo, di colore verde scuro, appesa alla porta del bar, nella speranza che si realizzasse il loro sogno. E chi non ricorda il bravo Domenico Madeo, durante le radiocronache, sempre con una biro in mano ad aggiornare i risultati delle partite su quelle vecchie schedine, a forme di tabelle, e a rispondere, con tanta pazienza, alle numerose domande dei clienti: Rumì, chi sta facienni a Juventus, …e ru Milan, … e l’Inter… ?
Agli inizi degli anni’60, la famiglia Madeo, per adeguarsi ai tempi, apriva in Corso Garibaldi al n. 6 un laboratorio di pasticceria. Ci lavoravano Luciano Cicalone, che poi passerà al bar Gatto Bianco, Tonino Falsetta, che gestirà, in seguito, il bar Ariston, Francesco Spataro, il giovane Giovanni Curti, che aprirà un bar e una gelateria a Schiavonea, ed altri ancora. Mentre al bar lavoravano, come baristi, Luciano e Vincenzo Schiavelli, Giovanni Marasco, Pierino Astorino, che passerà, poi, al bar Gatto Bianco, Saverio Forciniti e il figlio Salvatore, Pasquale Serra, Giuseppe (Peppino) Bruno, che aprirà, in seguito, un bar allo Scalo ed altri.
Nel 1968, come era avvenuto agli inizi degli anni ’40, il bar veniva ancora una volta ristrutturato. Se ne occupava una azienda di Rimini, la Tosoni, che sostituiva tutto l’arredo, realizzando in piccoli spazi grandi confort per la clientela. Caratteristici erano quei tavolini in legno pregiato pieghevoli al muro.
Oramai il bar del Combattente, per l’ottimo gelato artigianale, in particolare quello al cioccolato e al limone, per una pasticceria sempre più buona, nel rispetto delle tradizioni della famiglia Madeo, per i servizi di ricevitoria, per la ex saletta del gozzovigliare, che nel frattempo era diventata una saletta riservata al gioco delle carte, era diventato uno dei migliori e più noti bar della mia Città. Continuerà così per molti altri anni ancora.
Intanto, il 14 giugno del 1978, il carissimo zu Luigi ’u Combattenti, emigrato all’età di 9 anni in Argentina, soldato volontario e valoroso della prima guerra mondiale con nomina a Cavaliere di Vittorio Veneto, commerciante di grande intuito e intraprendenza, completava il suo percorso terreno. L’uomo dalle mille battaglie, che aveva affrontato le avversità della vita in tempi di guerra e di pace, andava via per sempre, lasciando,
a tutti noi, un grande insegnamento: la Vita va vissuta con dignità e coraggio.
Continuerà la gestione del Bar all’Acquanova il figlio Domenico fino agli inizi degli anni ’90. Da allora, come tantissime altre porte, anche questa, famosa per aver ospitato, prima, il caffè di Marco Santolucido, quello che aveva ”inventato” il caffè degli ubriachi, e, poi, quello di Luigi Madeo e figli, è chiusa.
1959 Luigi Madeo seduto alla cassa