Tra i miei tanti viaggi in Romania ed Ungheria,ci fu la volta che ebbi compagno di viaggio l’ex collega di studi Ciccio Cozzolino. Per lui fu un’esperienza inimmaginabile per un tipo metodico e calmo come lui,per il quale non esisteva l’imprevisto.E quel viaggio,ironia della sorte,fu tutto un imprevisto.
Passammo il Capodanno in Romania e ai primi di Gennaio affrontammo il viaggio di ritorno. C’è una regione geografica tra Serbia,Romania e Ungheria, che prende il nome di Banat,e sfiora rispettivamente Belgrado, Arad e Szeged.
Dunque lasciammo la Romania alla frontiera di Moraviza,per entrare in Serbia,che già nevicava sulla vecchia neve. Non ci scoraggiammo e proseguimmo imperterriti,ma notavo, alla guida,piccoli sbandamenti che ritenni di avvertimento per l’aumentare dello spessore di neve che aveva già raggiunto i 40 centimetri.Giunti alla prima cittadina decisi di acquistare le catene da neve che,pensavo,ci avrebbero facilitato il viaggio.
In tutti i negozi di Vršac non trovammo nemmeno l’ombra di catene.E fu la nostra salvezza.
Perchè se,malauguratamente,le avessimo trovate,e montate, avremmo proseguito il viaggio,illudendoci di essere garantiti dalle insidie provocate da neve e ghiaccio.
E questa illusione sarebbe stata,forse,fatale,per due come noi, inesperti delle insidie che può nascondere una strada innevata oltremisura.
Saggiamente decisi di fermaci a Vršac in un vecchio albergo dove avevo pernottato in altre occasioni. E fu una fortuna,perchè trovammo posto,prima che iniziasse la richiesta dei tantissimi italiani in cerca di alloggio,dopo che, non potendo proseguire,dovettero abbandonare l’auto sulla strada.
Tutti erano muniti di catene.E fu la causa del tranello in cui caddero, fidando nella sicurezza che garantivano.Fu quella sicurezza a tradirli. Furono ospitati,alla meno peggio,a bivaccare nella hall di quel malandato alberguccio,mentre altri continuavano ad arrivavare.
I racconti che ognuno di loro faceva,di quella tragica vicenda, furono agghiaccianti,e non mi riferisco soltanto ai brividi meteorologici. La moglie rumena di un italiano,entrambi reduci dal l’aver trascorso il Natale con i parenti di lei,raccontò di come,accortisi che la macchina incontrava difficoltà a proseguire,dopo lunghi e penosi ripensamenti,ed avvicinandosi già la sera,presero la decisione di avventurarsi in una marcia di avvicinamento alla città.Ma non si capiva più dov’era la strada o la campagna.Pensavano che era meglio giocare la carta di una marcia stentata e avventurosa piuttosto che morire congelati nella loro auto già coperta dalla neve e ormai a corto di carburante.
Ebbero compagni di quell’avventura altri due italiani anche loro bloccati nella neve. Percorsero alcuni chilometri arrancando con i piedi e con le mani fino a quando,ormai sopraffatti dalla disperazione,intravidero un lumicino in mezzo alla distesa di neve.Quell’ultimo tratto lo percorsero facendo ricorso alla forza della disperazione,unica ormai disponibile.E arrivarono.
Era un minuscolo casello ferroviario,consistente in una sola stanzetta in cui l’unico addetto,un vecchio ferroviere,era sì rimasto bloccato,per via che non circolavano nemmeno i treni, però aveva a disposizione il telefono con il quale stava in costante collegamento con la Stazione di Vršac.E non mancava una provvidenziale stufa a legna che contribuì a sciogliere il gelo che avvolgeva quei disperati.L’addetto del casello fu molto generoso e ,oltre a condividere con loro il pochissimo spazio disponibile, mise a loro disposizione le sue provviste alimentari consistenti in un enorme pane casereccio ed un cesto di uova sode che lui non si faceva mai mancare,per occasionali imprevisti.
Disse,la dottoressa,che quello fu il più delizioso pranzo di tutta la sua vita.
Ma il vecchietto fece di più.Consapevole che i treni non potevano circolare per l’eccesso di neve che ocupava i binari,suggerì ai responsabili della stazione di far inviare,da Belgrado,una singola locomotiva a vapore,priva di vagoni,poichè le locomotive a vapore dispongono di uno spunto capace di vincere qualsiasi impedimento,ed esercitano,per via del considerevole peso,una forte aderenza sulle rotaie.
E quando lentamente giunse da Belgrado una gloriosa vecchia locomotiva,i quattro presero posto accanto al macchinista,nel tender che, peraltro,anche se aperto su tre lati, era anche abbastanza riscaldato dalle fiamme della caldaia.
E il racconto di quella donna era corredato da lacrime così coinvolgenti che non posso negare di esserne stato contagiato. Il giorno dopo continuavano a giungere altri malcapitati. Erano quelli che erano stati soccorsi dall‘esercito,con i carri armati,che erano gli unici mezzi adatti a circolare in mezzo a tanta neve.Ma le autorità cittadine,sapendo che l’albergo non poteva ospitarli,ritennero opportuno smistarli in case private. E un’altra signora ci fece un racconto ancor più dettagliato. Preso posto alla meno peggio sui carri armati,non più di due alla volta,portandosi dietro solo la borsetta,furono accompagnati a casa di una famiglia di …zingari.
Passarono la notte su una sedia,con la zingara accovacciata ai suoi piedi,pronta a tendere l’agguato alla sua borsa. E fu una gara di resistenza a chi non si addormentava,e lei era costretta a spiare ogni movimento della zingara.Praticamente non chiuse occhio.E l’indomani,con ferma decisione,lasciò quel tugurio e vennero,lei ed i suoi familiari,al nostro albergo e,come prima cosa,lei si fece un lungo pisolino su un divano.Poi raccontò. E noi,tutt’intorno,ad ascoltare e comprendere e compiangere.
E c’erano due ragazzi friulani,di Udine,simpatici e scanzonati, che la presero piuttosto allegramente.E ci raccontarono della loro avventura,a Bucarest,dove avevano trascorso il capodanno,con due ragazze rumene,che li invitarono ad aspettare l’arrivo del nuovo anno a casa di una delle due,in un bloc multipiano.
E l’indomani,smaltiti i fumi dello spumante,le due,incredibilmente,e sfacciatamente,presentarono Il conto,peraltro alquanto salato,che includeva vitto,alloggio,lavatura e,forse,anche la… “stiratura”. I due ai quali,tra l’altro erano rimasti sì e no solo i soldi della benzina per il viaggio di ritorno,dopo una guardatina negli occhi,e dopo aver scambiato qualche parere in dialetto furlan,dopo aver ben studiato le modalità di apertura della porta,fulmineamente si diressero verso l’uscio e,a spron battuto,si precipitarono per le rampe delle scale, inseguiti dagli improperi delle due “verginelle” e dei loro familiari che non fecero in tempo a raggiungerli con l’ascensore,lenti com’erano gli ascensori rumeni,sia a salire che a scendere. Gli buttarono,dalla tromba delle scale,pentolate di acqua,ma ne uscirono asciutti.
E raggiunta la macchina,una vecchia Ford,ritennero opportuno cominciare,il più rapidamente possibile,il viaggio di ritorno che si sarebbe rivelato così carico di imprevisti. E che dire di un settantenne lombardo,di ritorno da Bucarest,dove era andato insieme con la figlia e col genero a fargli conoscere la sua giovanissima… “fidanzata” rumena.
E cercava,nei frangenti di quel forzato soggiorno,interlocutori a cui decantare le doti morali della sua fidanzatina,mostrandone le foto. Con me non ci provò,forse per la mia palese scarsa attitudine all’indulgenza nei confronti dei beoti.
Ma con Cozzolino andò tutto liscio.E Cozzolino mi riferiva. E poi Piero,siciliano di Palermo,che aveva superato da un bel po’ la cinquantina,con una spider rosso fuoco,accompagnato dalla sorella maggiore vestita in nero,all’antica maniera siciliana,tipica dei romanzi di Verga,con i capelli legati all’indietro,in un vetero chignon.Era andato a far conoscere alla sorella la ragazza che aveva deciso di sposare.E la sorella,tutta compiaciuta,si sprecava a cantare le doti della fortunata prescelta,ripetendo continuamente: è una bravissima “rragazza”.
Ma la cosa che più colpiva era che Piero era cugino in primo grado del simpaticissimo attore siciliano Franco Franchi,quello di Ciccio e Franco,di cui ci mostrò tutta una serie di fotografie insieme. Passato il primo giorno,passato il secondo,privi come eravamo di notizie sulla riapertura del traffico,presi coraggio e andai al vicino Ufficio Postale e stilai un allarmato telegramma indirizzato al Consolato Italiano di Belgrado,di questo tenore:
“Oltre venti italiani,bloccati causa neve nell’Hotel Vršac,in precarie condizioni di alloggio,ed alcuni in difficoltà economiche,all’oscuro dell’evolversi delle operazioni di sblocco del traffico,chiedono un deciso intervento di questo Cosolato,che ponga termine al grave e preoccupante disagio.Ingegner Ernesto Scura.
Non passarono più di due ore e pervenne alla Reception dell’albergo una telefonata del Consolato itaIiano,chiedendo di voler parlare con l’ingegner Scura. Passarono la telefonata al primo italiano che era nei pressi. Risposero che volevano parlare unicamente con l’ingegnere Scura. Mi rintracciarono e corsi all’apparecchio.
È l’ingegnere Scura?
Sì,in persona.
Ascolti ingegnere,abbiamo ricevuto il suo telegramma e,pertanto, siamo in grado di spiegarle cosa sta succedendo.
La regione del Banat è stata investita da un’eccezionale ondata di freddo che non si ricordava da cento anni,che ha paralizzato il itraffico.Aggiunga che un TIR sovietico,sbandando,si è posizionato di traverso sulla sede stradale e,a causa della grande quantità di neve, è stato impossibile rimuoverlo.Oggi,finalmente,i mezzi militari sono riusciti a riportarlo in carreggiata.Ora si è in attesa di riportare in sede tutti gli altri mezzi e si spera che entro domani,il problema sarà risolto. Nel frattempo,garantiamo a lei ed a tutti gli altri italiani che,in caso di difficoltà economica,questo consolato si farà carico di ogni vostro debito nei confronti dell’albergo e,in ogni caso,se ci sono altri problemi, non avete che da comunicarceli.Grazie per la pazienza.
Rimasi sbalordito.Esisteva una solidarietàitaliana.E poi,quel voler parlare unicamente con l’ingegnere Scura,mi dava conferma,che di fronte ad un documento scritto,tutti si mettono in allarme,consapevoli della certa responsabilità derivante da “Verba volant,Scripta manent” e,ignorare un documento scritto è colpa grave,specie in casi di tragici risvolti. Intanto cominciavano ad arrivare timide notizie di percorsi alternativi tentati da qualcuno,per raggiungere l’autostrada Belgrado Lubiana, attrverso strade secondarie già aperte al traffico.
Due italiani,che durante tutto il “soggiorno” passarono più tempo in macchina che in albergo,come se dovessero custodire qualcosa di molto valore e,a giudicare dal viso,non erano per niente affidabili, anche perchè non parlavano mai con gli altri,limitandosi a scambiare soltanto qualche stentato monosillabo,furono i primi a partire senza consultarsi con alcuno di noi.
Finalmente,dopo una collegiale consultazione,decidemmo anche noi di adottare quella soluzione,non senza riprometterci, solennemente, di camminare sempre incolonnati e stando ben attenti che nessuno si fosse fermato per qualche motivo.
Cioè ci ripromettemmo di ricorrere al mutuo soccorso in caso di eventuali bisogni di uno solo. Prima di partire cercammo di liberare le ruote delle macchine dalla neve accumulata che avrebbe impedito l’avvio.
Mi rivolsi ad un negozio per farmi prestare una pala e mi risposero in malo modo.E dire che sapevo benissimo che pala si dice “lopata”. Dopo altri tre tentativi ci fu chi mi prestò la pala con la specifica raccomandazione di restituirla “al più presto”. E finalmente,incolonnati,partimmo.Prima quelli che avevano i mezzi più bisognosi di “cure” e poi gli altri.
Davanti a me i due ragazzi friulani dei quali,uno,prese posto sul sedile posteriore per appesantire il carico sulle ruote motrici,onde assicurare quel minimo di aderenza necessaria..
E fu uno spettacolo commovente vedere quella carovana che nella solidarietà aveva risvegliato antichi sentimenti di…”fratellanza”. Ad un certo punto mi accorsi che il friulano che stava sul sedile posteriore,tutto infagottato nel giaccone col bavero rialzato,e col berretto calcato in testa fino alle orecchie,dava l’impressione di uno che stava soffrendo il freddo.
Fermai la carovana e andai a chiedere notizie.
Tutto tremante dal freddo,come del resto l’autista,mi disse che non funzionava l’impianto di riscaldamento.A momenti gli pendevano i ghiaccioli dal naso.
E,con molta cautela,e guardinghi,proseguimmo fino a quando non ci immettemmo sull’autostrada che,miracolosamente,era sgombra di neve e scorrevolissima.
Fu il momento degli addii effettuati nel modo più semplice e sbrigativo, con ampi gesti di saluto e via,ognuno secondo le prestazioni della sua auto. Non vedevo l’ora di arrivare a Trieste,la mia citta del cuore,dove un grappin ed una …”lopata” non si negano a nessuno.
ERNESTO SCURA