Era l’agosto del 1969. Leonardo e Maria Carla si sposavano a Trieste. E quale migliore occasione di approfittarne per poter fare una bella “rimpatriata” e rivedere vecchi amici e ripercorrere vecchi luoghi? Tra l’altro io ero testimone alle nozze.
Ricordo soltanto che Leonardo, distratto come al solito,quando arrivò il momento di tirar fuori gli anelli fece tenere il fiato sospeso a tutti perchè non li trovava.
E immmaginate la “suspense” di Maria Carla,che si vedeva messa a rischio la scenografia del suo sogno più bello.Il prete,poi,era il più imbarazzato,perchè la liturgia nuziale non prevede imprevisti vuoti che,peraltro,non era in grado di gestire. Ma durò poco,poichė Leonardo,frugando bene in tasche e taschini, con aria trionfante tirò fuori quei benedetti anelli.
Se era uno scherzo che Leonardo aveva orchestrato,bisogna dire che gli era perfettamente riuscito. Poi tutto filò liscio,riso,confetti,pranzo nuziale in un ristorante sul Carso e serata a Miramare tra amici più stretti degli sposi.
E poi?Il giorno dopo annusai aria di noia non potendo programmare nulla di piacevole (le vecchie amicizie femminili erano tutte svaporate nel distacco del dopolaurea).
Ci voleva uno scossone,uno di quelli che tutti mi hanno sempre riconosciuto di saper imprimere nei momenti di stallo. Il giorno dopo le nozze feci questo discorsetto agli sposi: “Se decidete in due ore,e se domattina siete pronti,andiamo tutti e tre in Romania”.
E stavo parlando della Romania di Ceaušescu che,si e no,sapevamo che era in direzione est.Null’altro. Io avevo sentito parlare di convenienza economia e di prezzi stracciati per via del cambio in nero che triplicava il potere d’acquisto. Maria Carla dopo dieci minuti disse che non solo aveva deciso di sì ma che,addirittura,era già pronta.
Leonardo,solito Amleto,cominciò ad obiettare,paventando i rischi di un’avventura carica di imprevisti e,fors’anche,di pericolosi risvolti. Nonostante tutto,dopo due ore si convinse anche lui,soprattutto, per non deludere le aspettative Di Maria Carla che riteneva quel viaggio imprevisto il più bel regalo di nozze che io potevo offrire. L’indomani non avemmo nemmeno il tempo di reperire una cartina del percorso e,a bordo della mia sportivissima Lancia Fulvia coupé, fummo subito alla frontiera con la Jugoslavia.
Facemmo una sola tirata,salvo brevissime soste,fino a Belgrado, dove giungemmo che era già sera inoltrata.Individuammo subito un grande albergo con ristorante a piano terra.Io suggerii di andare subito a cenare,visto il quasi digiuno di tutta la giornata. Preso posto ad un tavolo,ordinammo e chiedemmo al cameriere se avremmo trovato posto in albergo.
La riposta fu agghiacciante:in tutta Belgrado non c’è una camera libera per via delle “Olimpiadi dei sordomuti”.Vedete com’è pieno il ristorante?Sono tutti partecipanti alle Olimpiadi. In effetti notammo una grande animazione ma un ovattato silenzio che ci confermava quanto aveva detto.Era il silenzio dei sordomuti. E noi che facciamo?
Io avrei la soluzione,sempre che a voi piaccia,un battello ormeggiato sulla Sava,un grosso fiume che,a Belgrado,confluisce nel Danubio. Per Mariacarla fu musica soave.Era inebriata.Quale soluzione più romantica di questa per una fresca sposina ed in fondo anche per chi,come me,andava alla ricerca di emozioni forti.E ci convincemmo. Durante la cena,Leonardo,come sempre attento osservatore,ci fece notare che,se pur vero che i sordomuti non generano alcun vocio, c’era in atto un “alterco” furibondo tra alcuni sordomuti,che agitavano violentemente Il foglietto del conto,ed il cameriere.
Probabilmente i sordomuti contestavano il conto del pranzo,almeno a giudicare dal modo di gesticolare che non dava dubbi sul contenzioso. Finito di cenare il “cerimonioso” cameriere ci accompagnò al battello. Devo dire che,a prima vista,non era proprio da disdegnare e poi,sulla tolda,un’orchestrina suonava le musiche popolari serbe. Maria Carla era al Settimo Cielo.
Ci assegnarono le uniche due cabine,e ci buttammo subito a letto. Ma il frastuono dell’orchestra e lo schiamazzo degli ubriachi non favorivano il sonno.E non vi dico quando intuimmo che c’era stata una furibonda rissa con qualche coltellata.Finalmente sentimmo l’arrivo della Milicja che operò qualche arresto.E potemmo così, finalmente, prender sonno.
L’indomani,passammo dal ristorante della sera precedente a far colazione,e chiedemmo,questa volta alla “reception”,se c’erano camere libere.
Quante ne Volete.
Ma c’erano anche ieri?
Certo che sì.
Quel gaglioffo del cameriere,convenzionato con i loschi gestori del battello,aveva macchinato tutto per riscuotere qualche provvigione. Esclamammo,tutti e tre in coro : “figlio di pu…..”
Nonostante tutto,l’atmosfera da “malavita”che si respirava su quel barcone richiamava tanto i battelli parigini della Senna ed i film di Jean Gabin,e gli spregiudicati tricheurs degli angiporti di Marsiglia. Tutto sommato convenimmo che era stata una bellissima esperienza. Ed eccoci finalmente alla frontiera rumena,a compilare le “fiches” per il visto.
Sapevamo di entrare in un paese di lingua neolatina,ma non a questi livelli e scoprimmo che la lingua rumena si avvicina moltissimo ai dialetti Calabresi con un’abbondanza di “rotacismi” che trasformano la L in R.
-Me doare capu
-Scara de serviciu
-cur (il cu.. col derivato “curist” che non abbisogna di spiegazioni )
-Nu fumati
-nu calcati iarba
-Mamata
-Soarata
-Socru
-Socrata
-Socrama
-Tata
-manu
-porcu
-purcel
-gaina
-soarece
-roata
-fasole
-insurat(sposato)
-cašcaval (caciocavallo)
-sarcina (un peso)
-mura (mora)
E fu la sorpresa più affascinante dal punto di vista Filologico. Ci prefiggemmo di arrivare Bucarest,e quando cominciammo a costeggiare il Danubio era già pomeriggio inoltrato.
E intanto ad ogni villaggio i bambini ci inseguivano invocando “gumi”, zigarete,ciocolata,ma quel che ci commosse di più fu un bambino che,quasi in lacrime,chiedeva “bicigleta dinàmo” ovviamente per il papà che di notte non poteva circolare. La miseria collettiva era palese.
Arrivammo in una città,Craiova,dove decidemmo di pernottare. Ci consigliarono,per le camere, di rivolgerci ad un’apposito ufficio turistico per facilitare la ricerca,vista l’enorme presenza di italiani che avevano invaso la Romania,rendendo difficoltosa la ricerca.
Ci destinarono ad una casa privata,una villa già appartenente ad un generale,deceduto prima di dover subire l’affronto di vedere quello scempio in cui era ridotta l’elegante villa divisa,in modo bestiale, in tre arrangiati appartamenti.Ci ricevette la vedova,con un elegante e signorile portamento da signora d’altri tempi.I due figli erano sposati. Ci spiegò che le avevano lasciato il salone e la cucina,a piano terra, e tre camere da letto al primo piano,collegate da una sontuosa scala ormai anacronistica per la funzione modesta cui era destinata.
Il tutto come mirabilmente ci aveva descritto Boris Pasternak nel suo “Doktor Zivago”,dandoci conferma che il comunismo,incapace,come sempre,di creare ricchezza,cioè moltiplicare i beni,si ostinava a dividere quel che restava,del vecchio sistema, di un’ormai”passata riccchezza deteriorata e malridotta. Le pareti ed i soffitti erano impreziositi di stucchi e decorazioni “déco” da primi del novecento e lei ci confidò delle misere condizioni in cui si dibatteva.
Ecco,il comunismo non potendo dividere la ricchezza (che non era capace di produrre) divideva …la miseria. L’indomani mattina facemmo insieme colazione con la sua gradita partecipazione di amabile conversatrice. Quando ritenni che era giunto il momento di partire suggerii a Maria Carla di chiederle quanto le dovevamo.
Lei fece capire: fate voi.
Maria Carla,che gestiva i “Lei” che avevamo acqistati in nero appena varcata la frontiera,cominciò a mettere banconote sul tavolo e ci fu il momento che Maria Carla si fermò un attimo per studiare le reazioni della signora che si affrettò,precipitosamente,a dire “ajunje”.
Tutti e tre capimmo “aggiungi ancora”.
Maria Carla,anche se un po’ sorpresa,aggiunse ancora soldi e lei, come quasi allarmata: “ajunje”!
Fino a quando,finalmente,tutto ci fu chiaro. In rumeno ajunje vuol dire basta(sei giunto al termine ).
E noi per un attimo fummo convinti che la signora volesse speculare.
E finalmente arrivammo a Bucarest.
Anche quì alberghi pieni di italiani e fummo dirottati in una casa,al piano terra,di un antico edificio,anche questo proveniente dalla confisca di vecchi fabbricati,ormai ridotti alla mercè di,inquilini,non proprietari,dove tutto era in degrado,a partire dagli intonaci,agli infissi sconnessi,alle grondaie arrugginite.
Il padrone di casa era un vecchietto che viveva solo,e confidò a Maria Carla che accudiva a tutte le sue faccende domestiche.
Eu spal ( io lavo)
Eu calc (io stiro)
Eu fac de mincare
Eu fac curazenie (io faccio le pulizie).
Amici occasionali ci accompagnarono ad un ristorante molto esclusivo,fuori Bucarest,all’aperto,in un parco immenso,e sul più bello ci indicarono l’arrivo di Nicu,il figlio di Ceausescu,con uno stuolo di guardie del corpo,di amici,adulatori e di puttanelle che non gli dovevano mai mancare e,con molta platealitá presero posto ad un tavolo,ostentando arroganza sia nei confronti delle cameriere che del pubblico..
La mattina andavamo a far colazione in latteria e Maria Carla scoprì che lo yogurt era ottimo.E ne facemmo delle scorpacciate, perchè non aveva quel senso di acido che da noi lo rende poco piacevole,perchè fresco di giornata. Ed anche il cornetto,non dolce,ma semplice pane,non era male accompagnato allo yogurt.Di caffè manco a parlarne.
Constatammo che,dappertutto,il lavoro era inteso come “fatica”. In un cantiere stradale,dove rattoppavano le buche sull’asfalto, due operai stendevano e battevano il conglomerato,mentre altri tre,col mento appoggiato all’estremo del manico della pala, stavano a guardare,e il caposquadra,chiacchierando con amici di passaggio,non guardava nemmeno come andavano i lavori (era l’applicazione della teoria sostenuta,ancora oggi,dai sindacati: “lavorare meno per lavorare tutti”,a scapito,della remunerazione.
Senza fare i conti con la produttività che va a farsi…”fondere”). E intanto Elèna Ceausescu faceva incetta di pellicce e di “lauree ad honorem”,specie in Chimica,in cui diceva essere specialista. E poi si venne a scoprire che non aveva conseguito nammeno la licenza elementare dove si era distinta per incapacitá assoluta di apprendimento.Il tutto confermato dalle sue pagelle scolastiche, rese di pubblico dominio dopo quella farsa di processo e quella vergognosa fucilazione che i suoi ex “compagni” avevano orchestrato,unicamente per non farli parlare ( e chissà quante cose avrebbero detto sul conto di quelle altrettanto canaglie di cui ”il più pulito aveva la rogna”…e gli armadi pieni di scheletri.
Anche il contatto con questa triste realtà arricchì la nostra esperienza di viaggio.Ah,se avessi cinquant’anni di meno.Ah se se avessi due amici sposini.Rifarei quel viaggio,certo non più in quella Romania.Magari nella Corea del Nord o a Cuba.Magari correndo rischi molto più seri.Ma con quanta più “emozione” (leggi paura). Purtroppo mi mancherebbe la Cambogia di Pol Pot,quella ,certo, non ripetibile (non che l’attuale non faccia la sua parte per essere in linea con ii clichè maoista,magari senza “pol-pet” ma con altre leccornie).
Ernesto SCURA