Quando,bambini,credevamo che AFFISSIONE volesse dire…”FISSIARE”.
Nei primi anni quaranta frequentavo le scuole elementari, ed ogni mattina mi dovevo recare a San Francesco. Percorrevo tutta la ripida salita di via Roma e poi quella ripidissima di Via S.Francesco. Notavo che,ogni giorno,alcuni bambini che si recavano a scuola,in corrispondenza di certe botteghe,lanciavano un grido di sfottò,seguito da precipitosa fuga,che faceva scattare l’ira del titolare con lancio di martelli od altri utensili.
Una era la bottega del “Sirico”,una delle ultime porte di via Roma,quasi all’ACQUA NOVA che,mi pare,vendesse pellami,e aveva una moglie bellissima,arbëresh,di San Giorgio.E non è da escludere che la vera causa occulta dello sfottò potesse avere origine proprio da un recondito sentimento d’invidia che covava nei meno fortunati.
Un’altra era la bottega di “Vai Maestro”,alla salita di San Francesco,ottimo artigiano del legno,con la qualifica di “ebanista” ed intarsiatore di fama riconosciuta.
Alto,asciutto,con importanti baffi,ed occhiali.Insomma, fisicamente, era impeccabile.Aveva come aiutante il figlio, e gli sfottò non erano rivolti,mai, al figlio.Solo al padre. E ci fu un bambino che mi spiegò tutto.
Il soprannome di “Vai Maestro” gli era stato affibbiato in occasione di una perorazione funebre da lui tenuta in occasione della morte del suo maestro,al quale era molto legato per motivi di affetto e di riconoscenza. Quest’ultimo saluto al maestro lo tenne,a conclusione del corteo funebre,dopo essere salito su una botte in legno,piena d’acqua,messa ad “abbonire” a fianco di una cantina.
Tutto andò liscio fino alla frase conclusiva che voleva essere il commovente viatico al maestro,cui tanto doveva nella vita:
VAI,MAESTRO,VAI … e quì avvenne l’irreparabile.
Il “tompagno” della botte cedette e lui,l’allievo di tanto maestro,che aveva raggiunto l’acme del pathos con il risultato di suscitare la commozione dei presenti, sprofondò nella botte e la comicità della scena ebbe il sopravvento sul pianto con l’esplosione di fragorose irrefrenabili risate.
Probabilmente si prese un’infreddatura.Ma fu il meno. Gli restò,per tutta la vita,quell’indimenticabile marchio. E forse ci provai anch’io,qualche volta,a urlare: VAI,MAESTRO!
Ma smisi presto,perchè non c’era alcun gusto a dover subito scappare senza poi godersi l’effetto dello sfottò. Ma,a pensarci bene,il vero motivo che mi indusse a non farlo mai più fu quando mi accorsi che,sia accanto alla porta del “Sirico” che alla porta di “Vai Maestro” c’era una targa con la scritta: DIVIETO DI AFFISSIONE ART.663 del CODICE PENALE.
Direte: e questo che c’entra?
Oggi,è vero,non c’entra.Ma provate ad immedesimarvi in un bambino di otto anni e con la cultura coriglianese, di uno di otto anni.
Per me significava “VIETATO FISSIARE” che in dialetto coriglianese traduceva l’italiano “VIETATO PRENDERE IN GIRO”.
E da allora mi guardai bene dall’incorrere in quelle “tanto severe” sanzioni di quell’ART.663 del C.P. Comunque,a volte,qualche deroga me la sarò pure concessa,ma solo davanti a quelle porte,di quelle botteghe,dove non c’era quella targa.
Ernesto Scura