L’Articolo 133 della nostra Costituzione, al secondo capoverso, recita:“La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni“.Quella che segue è un’elegia funebre. Attenti, però, perché il defunto non è né la città di Corigliano Calabro né quella di Rossano – che, anzi, dal risultato del referendum potranno (se ne saranno capaci) trarre nuovo slancio per un futuro roseo – ma il senso civico e lo spirito democratico del popolo coriglianese e di quello rossanese.
So bene che il discorso che sto per fare potrebbe e dovrebbe riguardare, allo stesso modo, Corigliano e Rossano ma, probabilmente per l’ultima volta, voglio parlare solo delle vicende di quella che, fino a ieri, era la mia città.
Oggi dovrei sentirmi emozionato perché questo è il primo giorno di quello che potrebbe essere (o almeno si spera possa essere) un nuovo inizio per Corigliano Calabro e per Rossano. E invece, da stamattina, il mio stato d’animo è tutt’altro perché, ancora una volta, non riesco a capire cos’abbia in testa la stragrande maggioranza dei coriglianesi, ammesso, a questo punto, che una testa ce l’abbia.
Non riesco a comprendere cosa possa spingere migliaia di aventi diritto al voto a decidere di disertare le urne, negando a se stessi la possibilità di prendere una decisione su una cosa così importante (forse la più importante a livello politico-amministrativo) come la fusione della loro città (che da questo momento in avanti chiamerò paese, con la “p” rigorosamente minuscola, anche per distinguerla dalla nascente città di Corigliano-Rossano) con un’altra.
Potrei sforzarmi di capire (seppur a fatica e non condividendola) la scelta di non andare a votare il referendum sulla caccia o quello sulla riforma della costituzione, anche alla luce del fatto che, trattandosi di referendum per i quali è sempre previsto un “quorum”, la scelta di non andare a votare possa assumere una valenza politica. Invece, per quanto possa sforzarmi, non capisco e non capirò mai come si possa decidere di non andare a votare il referendum consultivo sulla fusione del proprio Comune con un altro.
E’ come se chiedessero ai condomini di un palazzo di decidere se demolire o ristrutturare il palazzo e la maggior parte di questi decidesse di disertare la riunione di condominio.
Non ha senso, non ha logica ed è assolutamente folle.
Se poi si pensa al fatto che tutti sapevano che non era previsto un quorum e che la maggioranza dei votanti avrebbe, in ogni caso, indirizzato l’esito finale, l’astensione appare davvero inspiegabile.
Ma i coriglianesi che popolo sono?
Che modo hanno di concepire la vita, la società e la democrazia?
Come affrontano la loro esistenza individuale e collettiva?
Qualcuno obietterà che io stia generalizzando, ma come non generalizzare davanti a un’astensione del sessantasette per cento?
L’astensione è il dato politico eclatante che emerge dalla tornata referendaria di ieri e questo è l’unico dato politico di cui, tranne poche eccezioni, non si parla.
Con un certo stupore, ho letto i toni trionfalistici dei sostenitori del Sì ed ascoltato gli assordanti silenzi di quelli del No e, ahimè, ho dovuto notare come quasi nessuno abbia posto l’accento sullo scarso senso civico di quelle che la Costituzione definisce “popolazioni interessate” e che, nel nostro caso, faremmo meglio a definire “popolazioni disinteressate”.
E allora, a prescindere dall’esito del referendum, facciamo tutti un esame di coscienza perché tutti siamo responsabili del fallimento democratico che si sostanzia nel sessantasette per cento di astenuti: i promotori del Sì e quelli del No, che se le sono date di sante ragione senza riuscire ad affascinare quasi nessuno (se non un risicato 33%) con le loro posizioni spesso prive di contenuti e la loro capacità di creare astio e acredine tra le comunità di Corigliano e Rossano; il Sindaco Geraci e il Consiglio Comunale di Corigliano Calabro (di cui sarebbero auspicabili le immediate dimissioni) che, con il loro atteggiamento politicamente ambiguo, hanno confuso ulteriormente i cittadini (pardon, i paesani) anziché guidarli e indirizzarli; noi paesani coriglianesi (l’appellativo di “cittadini” non lo meritiamo affatto) che abbiamo dimostrato, ancora una volta, di essere il popolo più menefreghista del mondo, di non essere in grado di prendere una posizione e di non riuscire a guardare più in là di una pianta di clementine.
Bisognava votare, cari compaesani. Sì o No, ma bisognava votare.
E, questa volta, per gli astenuti non ci sono giustificazioni perché il quesito referendario era inequivocabile e comprensibile a tutti e la “risposta” di ciascuno, attraverso il voto, era un dovere civico nei confronti di se stessi e degli altri.
Detto questo, auguro alla mia nuova città, Corigliano-Rossano, un grande e radioso futuro, nonostante il sessantasette per cento di abitanti coriglianesi aventi diritto al voto.
Con viva cordialità.
Cuoredicane