1944: ormai gli americani ci avevano stroncato i morsi della fame con un pane bianchissimo. Ma di tutto il resto, invece, pativamo la mancanza, salvo le sigarette che, al mercato nero, abbondavano (Marlboro, Chesterfield e Camel, ma di quest’ultime ci incuriosì l’im-magine sulla scatola che avrebbe dovuto essere un cammello, quindi con due gobbe e, invece, di gobbe ne aveva una sola, dando l’idea che fosse un dromedario). Ciò di cui maggiormente soffrivamo era la penuria di stoffe.
E tutte le mamme, rovistando nei vecchi bauli, riesumavano capi da restaurare. E non mancò chi da antiche lenzuola di lino ricavò degli eleganti vestiti estivi.. Frequentavo la seconda media e, osservando i miei compagni, potevo studiare la capacità e l’inventiva delle mamme. Tonino, un bel giorno, indossò dei pantaloni corti, così ben stirati da sembrare appena usciti dalla sartoria. La stoffa di quei pantaloni era quella di un sacco, diligentemento scucito, tagliato e ricucito. Mia madre reperì a Cosenza, al mercatino del «Lungocrati», della stoffa di paracadute. Erano gli spicchi scuciti di pura seta, leggerissima. E non vi dico che camicie estive ne ricavò. Erano anche impermeabili, di un colore rosa pallido. Solo che non conveniva farsi cogliere dalla pioggia perché, pur non bagnandoti, avvertivi subito il gelo dell’acqua sulla pelle. Ciò di cui maggiormente si lamentavano le mamme era la mancanza di aghi e filo, tutta roba che veniva prodotta nelle fabbriche del Nord da cui eravamo separati per gli eventi bellici, e noi, per la prima volta, avvertimo il gap tra Nord e Sud. A casa mia si procedette a rinvoltare i vecchi vestiti dl papà, e adattati a mio fratello. Io dovevo aspettare, per indossarli, che mio fratello crescesse ancora un po’. Del compagno Totonno non riuscivamo a capire le condizioni dell’abbigliamento, avvolto com’era, sempre, da un logoro cappotto che non si levava mai. A primavera inoltrata, costretto ad abbandonare quel capo,ci consenti, finalmente, di soddisfatre la curiosità. Poveririo, vestiva di cenci, e anche mal rattoppati. Ma li indossava con tanta dignità, per cui nessuno di noi ne fece motivo di scherno.
Ernesto Scura