Di tutti i popoli dell’est europeo che dovettero subire l’imposizione del comunismo sovietico,gli ungheresi furono,indubbiamente,i più “seri”,per indole,cultura, tradizione e pragmaticità. E quando ci fu da applicarlo,il comunismo,lo fecero col massimo impegno,zelo e precisione.
E quando ci fu da contestarlo,lo fecero con forte determinazione e coraggio:sparando,anche,contro i carri armati sovietici,quei poderosi corazzati,i T 34. Nei miei frequenti viaggi in Romania,dovevo attraversare l’Ungheria che,sul passaporto,apponeva un timbro d’ingresso ed uno di uscita verso la Romania. La stessa cosa si verificava al ritorno,con un timbro d’ingressso in Ungheria ed uno di uscita.
Quindi due più due vistosi timbri che testimoniavano il soggiorno (per me transito)in Ungheria,con validità . di un mese dall’ingresso all’uscita. Ci fu una volta che mi recai in Romania optando per il viaggio aereo fino a Budapest e proseguimento,in treno,per Satu Mare,in Romania.
Sapendo che il visto d’ingresso aveva la validitá di un mese,m’illusi che,al ritorno,fosse ancora valido quel visto,non essendo assolutamente trascorso un mese. E al ritorno ci fu il momento che dovetti cominciare a fare i conti con l’efficientismo ungherese applicato all’utopia comunista che,probabilmente,in Romania sarebbe stata applicata in modo più…annacquato. Appena entrato il treno nella stazioncina ungherese di Bihorkeresztes,un omino in divisa,con uno sguardo di ghiaccio ed una ridicola cassetta di legno,con timbri e cuscinetti inchiostratori,appesa al collo,presa visione del mio passaporto,mi intimò di scendere immediatamente dal treno perchè sfornito di visto.
Ed il visto,logicamente,si poteva ottenere solo alla frontiera stradale,dato che le stazioni ferroviarie non sono munite di un tale ufficio non avendo la disponibilità di tempo necessaria a queste lungaggini. In maniera oltremodo autoritaria mi condusse in una stanza che si affaciava sui binari,arredata con un vecchio e decrepito divano tarlato,unto e bisunto, un tavolo che voleva essere ottocentesco,sempre che fosse stato ripulito per essere riconoscibile,ed una sgangherata cassapanca.
Praticamente ero agli arresti fino alle sette di sera,ora in cui sarebbe passato un treno diretto in Romania. Ed erano appena le sette del mattino. Cercai di far capire che se mi accompagnavano alla frontiera stradale che non distava più di un chilometro, avrei potuto ottenere il visto e quindi proseguire in autostop o con autobus fino a Budapest. “Nem,Nem”.Il protocollo non lo consentiva. Verso le dieci arriva un treno merci che però trainava anche un vagone viaggiatori vuoto.Rintraccio l’omino e gli faccio capire che potrei tornare in Romania con quel treno,comodamente seduto in quel vagone. “Nem,Nem”,quello è,ufficialmente,un treno merci e non può ospitare viaggiatori.
Ritorno nella mia “prigione senza sbarre”e comincio a familiarizzare con un topolino che,per nulla impaurito, saltella or sulla panca,ora sul tavolo. Devo riconoscere che è l’unico essere vivente,in quel contesto,a non ostentare un viso truce.
I topi non erano stati,ancora,contagiati dalla frenesia “anti occidentale” del comunismo sovietico. Mi resi conto che mi trovavo in una situazione di “apolide”, senza però conoscerne i limiti e i doveri.
Però prendo coraggio e di tanto in tanto mi affaccio sul marciapiedi,finchè preso dai morsi della fame,rasento i muri della stazione e percorro il marciapiedi fino al non lontano squallido bar della stazione dove,con i pochi fiorini che mi trovo in tasca,acquisto qualche insipido biscotto. Di tanto in tanto arriva,su quel triste binario,un treno locale, essendo,quella,una stazioncina terminale di frontiera.
Il primo a scendere è sempre un soldatino,con un lungo fucile in spalla,che messo piede a terra.si guarda intorno, con aria circospetta,e poi consente ai pochi viaggiatori di scendere.(Quando si dice il nemico in agguato.E chi poteva essere,in quel momento,se non …io?)
E finalmente,alle diciannove,giunge il sospirato treno che mi porterà in Romania. Prendo posto in uno scompartimento che ospita già una donna ed un ragazzo,cittadini rumeni,di nazionalità ungherese,di ritorno da una visita ai parenti residenti in un paesino d’Ungheria contiguo alla Romania.
Epigoni della sconvolgente follia di Stalin che,a guerra finita,volle punire,il più possibile,l’Ungheria,fedele alleata della Germania,togliendole la vastissima regione della Transilvania e regalandola alla Romania.E che ci volle? Un rapido colpo di matita su una carta geografica. Ma quel colpo di matita causò tanti danni e dolori e sofferenze e separazioni che durano ancora oggi.
Mio suocero,era ungherese,e si ritrovò rumeno,senza sapere una sola parola di rumeno. Mia moglie,alla quale fu riconosciuto il diritto di poter frequentare le scuole ungheresi,un pò di rumeno lo ha, pensate,imparato da me.
E a scuola veniva sempre rimandata in lingua rumena. Tornando al treno,entrati in Romania,subiamo il controllo dei documenti dal miliziano rumeno che,con grande stupore,scopre che parlo benisssimo il rumeno. Poi,quando si rende conto che quella mamma e quel figlio non sapevano spiaccicare due parole in rumeno, Incomincia ad offenderli per quella che riteneva una grave colpa e,rivolto al ragazzo:
-e pure tu che sei giovane,non ti vergogni? Pensa,il signore (il signore ero io) è italiano e parla il rumeno meglio di me.E tu non sai mettere insieme nemmeno due parole.Vergognatevi!
Lui pensava di farmi un complimento,ed io,per nulla lusingato,mi sentii mortificato nei confronti di quella povera mamma e di quel figliolo. Mi sentii un verme.
Una volta in Romania mi organizzai e,il mattino successivo,mi feci accompagnare da un taxi alla frontiera stradale dove,esaurite le formalità di uscita, il miliziano rumeno mi affidò ad un miliziano ungherese che,a piedi,mi accompagnò alla postazione magiara per ottenere,finalmente,il sospirato visto.
Dopo una snervante lunga attesa ottengo il visto sul passaporto e,stavolta,un soldato,col solito fucile in spalla,mi accompagna fuori dal locale. Io mi fermo e lui mi intima di andarmene perchè quella è zona militare severamente vietata. Cerco di fargli capire che devo aspettare il primo autobus che mi porti a Budapest.
E lui,vistosamente alterato,si imbestialisce e mi intima di sloggiare,puntandomi minacciosamente il fucile. Non c’era modo di fargli capire che solo lì potevo salire su un autobus e non lungo la strada dove gli autobus non hanno fermata. Insomma si stava mettendo molto male.
Per fortuna,un camionista rumeno,che aveva appena ottenuto il visto,si informò su quel che stava succedendo e,giudiziosmente, mi chiese se volevo proseguire il viaggio con lui.
Figuriamoci se rifiutavo.E fu un viaggio piacevolissimo, dato che era simpatico ed ottimo conversatore. E poi,il panorama,dall’alto della cabina di un TIR, offre scenografie meravigliose,a cominciare dalla Puszta inerbata e percorsa da cavalli,o da mandrie di mucche al pascolo,o da branchi sterminati di oche. E di tanto in tanto qualche gazzella in fuga. Insomma,fui abbondantemente ripagato per tutte le peripezie passate.
E non dico come fu gustoso il goulash che ci fu servito al primo posto di ristoro lungo la strada. Devo riconoscerlo. Non tutto era da buttare nei paesi comunisti. Forse perchè non rientrava nei programmi la distruzione della puszta,nè la ricetta del goulash. Ebbero solo il tempo di istituire la consegna dei ….cervelli all’ammasso.
Ernesto SCURA