Nella politica locale, tre costanti la fanno da padrone: la mala politica, figlia di un sistema clientelare corrotto, le vicende amministrative dettate da interessi personali e le accertate incapacità di molti, anche dei cosiddetti politici di rango, i più pericolosi per la loro spregiudicatezza, per la loro arroganza, per le coperture di cui godono e perché no, per la loro ignoranza a livello culturale, basterebbe prendersi la briga e vedere da quale realtà (Sindacato per lo più) essi provengono.
Se oggi, il territorio, non ha le basi per eccellere è perché le fondamenta, sono fragili, traballanti, inquinati, la colpa è da imputare per buona parte a quei politici che dal 1970 (tranne rare eccezioni) hanno amministrato il comune, non vanno assolti nemmeno i politici di oggi, né tanto meno i coriglianesi che per convenienza, interessi vari, tendono a dimenticare ed a perdonarli. Basti pensare che nel ventennio 1970/1990 nel comune di Corigliano si sono tenute 5 cinque elezioni amministrative, senza contare le tante gestioni del comune in mano a dei commissari prefettizi, intervenuti dopo i tanti dissidi oramai cronici, sia per interessi politici che economici nelle varie maggioranze di allora che aprirono di fatto le porte del comune a gestioni commissariali (memorabili sono i dissensi cronici all’interno delle tante maggioranze amministrative a guida DC- PSI/ PSA- PSDI, ed i contrasti nella maggioranza a guida Comunista che nel 1972 voleva sindaco il compianto Gabriele Meligeni, costretto a dimettersi da li a poco ed oggi ipocritamente glorificato dai più acerrimi nemici di ieri e da coloro i quali fortemente lo contrastarono. La città, dovrebbe avere memoria più lunga, fare tesoro del disgraziato passato politico che l’ha attraversata quando si cambiava sindaco allo stesso modo e tempo come si cambia una camicia, ne sanno qualcosa: l’avv. Giampiero Morrone, eletto sindaco nelle successive elezioni anticipate del 1975 che a seguito degli ormai cronici dissidi all’interno della DC frutto di interessi politici ed economici si dovette dimettere, stessa sorte capitò al prof. Franco Pistoia, frutto dell’accordo raggiunto nel dicembre del 1977 che lo elegge sindaco, il quale però il 30 Gennaio 1978 si dimise, dimissioni respinte dal consiglio comunale, a dicembre però si registra una ormai cronica spaccatura che aprì l’ennesima crisi al comune; dopo ben quattro sindaci il 28 Dicembre del 1979 viene eletto dalla maggioranza”DC- PSI- PSDI” il dott. Ernesto Cerbella il quale restò in carica circa cinque mesi. Ho voluto ricordare questo scorcio di vita politica coriglianese per sottolineare la desertificazione politica ed emozionale, il rifiuto, il disprezzo e l’uso personale delle strutture politiche ed istituzionali, una per tutta le commissioni edilizie del tempo affidate a politici (medici) senza i minimi requisiti in materia di urbanistica, frutto di queste incomprensibili scelte, due realtà: Corigliano Scalo e Schiavonea completamente abusive. Il loro comportamento da irresponsabili, da criminali ci ha confinati ormai all’isolamento, nella solitudine che ha corroso dalle fondamenta il vivere serenamente quotidianamente la politica. Il passato, il presente, e il futuro si intrecciano, ritornano e si lacerano con loro, si frantumano, senza che sia possibile coglierne le ragioni; memoria e speranza, passato e futuro, si mescolano l’una con l’altra; senza che sia possibile poterle distinguerle, non sappiamo con chi dovremmo confrontarci nei prossimi tempi, di sicuro c’è la realtà, una realtà fatta di menzogne e di fatti realmente accaduti. La conclusione di questo discorso è quella che una miseria imperitura e una sofferenza senza fine sigillano la nostra esistenza, la sopravvivenza stessa del territorio, in ogni caso, sia con i vecchi che con i nuovi è stato negato il futuro economico e culturale al territorio, ha vinto e vince il predominio della mala politica, divenuta la normalità tanto da aver colonizzato e deturpato come delle tante metastasi le strutture della cosa pubblica, per questo non si deve dimenticare il rischio che si corre se si affidano un domani prossimo le sorti del comune a politici che molto probabilmente alle prossime amministrative si presenteranno come il nuovo che avanza, aderendo a movimenti ed associazioni che simili ad un carro armato sono disposti ad andare avanti e stritolare chi tenta di intralciare i loro piani. Il guaio per le istituzione, per noi maggiormente è che questi sanno bene cosa vogliono, al contrario, dell’elettorato che non ha la consapevolezza di cosa possa succedere, a rinfrescarci la memoria, sono le loro vicissitudini politiche passate quando molti di questi, erano alla guida del comune chi come assessore, chi come presidenti di commissioni o altro, basterebbe riavvolgere i fili della storia politica locale e verificare il loro operato nelle giunte passate (Geraci, Pasqualina Straface e Genova). La politica locale, ed i suoi rappresentanti, sono incapaci a soddisfare le esigenze dei più giovani, (giovani che per la verità, volutamente, non si rendono conto del destino del loro futuro) assieme a strutture di partiti inesistenti, a politici privi di un linguaggio comprensibile e di modelli di riferimento, presi come sono a fare quadrare i loro loschi interessi e quelli dei loro amici, se ne fottono di affrontare i problemi reali, in loro predomina la desertificazione, la perdita della loro stessa vitalità, il rifiuto, il disprezzo nelle strutture pubbliche, in loro vi è una dissolvenza dei ruoli politici e sociali alle quali si accompagna lo scarso senso del dovere verso gli altri, verso la pubblica amministrazione, nonostante queste peculiari caratteristiche, la fanno comunque e sempre franca. Tutti questi fattori fanno sì che la politica, la si vive come una cosa estranea a se stessi e agli altri, finendo con l’essere, in qualche modo, stranieri non solo nel nostro territorio ma anche nei confronti oramai di chi promette miracoli per la città. Nello svolgere il mio discorso vorrei servirmi di una sola parola, quella della sventura politica che ci persegue da tempo e che noi tutti supinamente subiamo e che non ci consente di volgere uno sguardo al di là della prigione in cui questa classe politica ci ha imprigionato, ci ha relegato, negando al territorio anche la minima briciola di speranza di cambiamento. Tutto questo nel corso del tempo ci ha confinati nell’isolamento, nell’arretratezza più assoluta rispetto anche all’altra metà della Calabria stessa, quella del Reggino per esempio, che seppure con tanti acciacchi è più progredita del nostro martoriato territorio a livello di infrastrutture e come politici di rilievo nel quadro politico nazionale, Marco Minniti ne è un esempio. In una realtà dove i ruoli si mischiano, la trasparenza svanisce e la giustizia arranca è comprensibile che i politici proclamano la loro vittoria, la loro predominanza, la loro innocenza, ora però aggiungo io, l’incubo di ritrovarceli tra i piedi deve finire anche per noi, speriamo che non sia un sogno, non sia una utopia, basta volerlo e qui mi rivolgo anche ai tanti intellettuali che a parole non hanno eguali, ma che nei fatti, lasciano a desiderare.
Per il movimento centro storico: Luzzi Giorgio