Non incontravo Giuseppe Geraci da qualche mese. Lo ritrovo lì dove lo avevo lasciato, nel suo studio di Palazzo Garopoli, per nulla sereno, poiché alle prese, ancora una volta, con un’opinione pubblica distratta dalla solita gogna mediatica, che, da queste parti, è ormai diventata un modo di pensare. Uno stile. Un metodo. Un clima morale, che impedisce alla politica (e quindi alla città) di affrontare e discutere temi e problemi più seri.
“Ah come vorrei discutere di politica, di cultura, di economia”, diceva ieri, uno sconfortato Geraci, mentre lo impiccavano per la futile questione di una casa, pare di proprietà di un nipote, affittata regolarmente a una cooperativa che dovrà ospitare alcuni immigrati.
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