Sfoglio un giornale nelle sue pagine locali. Ad un tratto mi fermo, rileggo, leggo un’altra volta. Possibile? Non posso fare a meno d’irritarmi. Dico ‘irritarmi’ e non ‘indignarmi’, perché indignarsi non serve, come mi ricorda mia madre, che di buonsenso ne ha tanto: ti cci fa ‘u sanghi amari e tti nni vena ra mala saluta. E non ha tutti i torti.
Chi si indignò, in passato – chi s’indignò veramente – pagò col carcere o con l’esilio, con la fame o con la morte. Nel migliore dei casi con l’emarginazione. L’indignato fu un testimone e il testimone fu un martire. Penso ad epoche diverse e lontane, penso ad un Dante o ad un Pertini, ma di nomi ce ne sono tanti. Qualcuno, che all’indignazione non volle rinunciare, assaggiò anche la fiamma sul rogo. Oggi, non è tempo di eroi. Meglio irritarsi e chiuderla qui.