Cristian Dulan, 30 anni, rumeno, l’esecutore materiale dell’omicidio di Carmine Avato, 52 anni, ucciso a San Cosmo Albanese la notte tra il 14 e 15 novembre scorso, nelle due dichiarazioni rese al magistrato inquirente, il pm Maria Grazia Anastasia, manifesta una certa apprensione e paura nei confronti di Salvatore Buffone, 31 anni, cognato di Avato che secondo l’accusa sarebbe il mandante dell’omicidio. Infatti, secondo le indicazioni che il romeno avrebbe ricevuto dal mandante, dopo l’omicidio avrebbe dovuto disfarsi di tutto quello che poteva comprometterlo.
Ma Dulan non obbedisce agli ordini. Si disfa dei vestiti, che butta «per strada, vicino ad un fiume, in posti differenti», ma non della pistola. «Lui mi aveva chiesto di buttare anche la pistola – dice Dulan – ma io non l’ho fatto perché temevo per la mia incolumità. Salvatore avendo conoscenze nell’ambito della criminalità poteva uccidermi o farmi uccidere». Il gip scrive: «Alla luce di questi principi il pericolo di fuga nel caso di specie deve essere escluso: infatti per quanto attiene al Dulan, benché straniero, risulta regolarmente residente nel territorio italiano da diverso tempo e svolge attività lavorativa, inoltre, il predetto ha adottato un comportamento collaborativo con le forze dell’ordine; quanto al Buffone, la mera circostanza che egli abbia collegamenti con elementi della criminalità locale che, in astratto potrebbero fornire un supporto logistico in caso di latitanza, appare elemento insufficiente a fondare il pericolo di fuga non eregendo un vero e proprio inserimento in una compagine delinquenziale né la disponibilità di mezzi e di coperture […]». Fin dall’inizio gli inquirenti hanno seguito la «pista familiare» ponendo una serie di intercettazioni telefoniche che hanno posto in relazione Buffone e Dulan. «Gravi dissidi familiari», ha detto il procuratore capo di Castrovillari, Eugenio Facciolla, avrebbero portato alla morte del muratore di San Cosmo. A dare una svolta alle indagini sarebbe stata una perquisizione nell’abitazione del romeno Dulan nella quale i carabinieri della compagnia di Corigliano hanno trovato una pistola calibro 7,65 che si dovrà ora accertare se sia stata o meno l’arma che ha ucciso Avato. Dopo il ritrovamento dell’arma, della quale il 30enne avrebbe anche cercato di disfarsi all’arrivo dei militari, Dulan, difeso dall’avvocato Maria Gisella Santelli, ha cominciato a parlare. E di cose ne ha raccontate tante. Ha affermato di aver conosciuto Buffone circa tre anni fa tramite tale Giuseppe Fanelli (che è un pregiudicato) e i nipoti del defunto. La richiesta di uccidere il cognato sarebbe arrivata da parte di Buffone un mese prima del delitto. Dulan dice che non se la sente ma il presunto mandante insiste. «Salvatore mi ha minacciato se non avessi adempiuto a quello che mi chiedeva», afferma Dulan. Le indicazioni sulla vittima sono generiche: «Mi ha detto che è una persona parzialmente pelata e che viaggiava a bordo di una Opel Astra di colore grigio chiara». Secondo Dulan, Buffone fornisce anche le ragioni per le quali avrebbe voluto la morte di Avato: maltrattava la famiglia. Nell’ordinanza del gip, che ricostruisce i fatti alla luce dei dati investigativi forniti si evidenzia come subito dopo la morte di Avato, si sia proceduto ad ascoltare i parenti dell’uomo, appurando che questi risultava incensurato e scevro da connessioni con la criminalità comune e organizzata. Quello che si apprende dall’escussione del fratello Gennaro è che le uniche preoccupazioni di Avato fossero “da individuare nella crisi coniugale di quest’ultimo”. La vittima da un anno e mezzo aveva intrapreso un percorso di separazione con la moglie Maria Giulia Buffone, madre dei suoi tre figli, ai quali la donna avrebbe vietato di avere qualsiasi tipo di rapporto con il padre. Dulan, nelle sue dichiarazioni spontanee, non specifica meglio in che modo Avato – che stava per divorziare dalla moglie – maltrattasse la famiglia, dice solo: «Io so che Salvatore è una persona pericolosa, so che lui spacciava e aveva amicizie in ambienti pericolosi. Lui spacciava assieme ai nipoti di Carmine Avato. Non l’ho mai visto frequentare persone pericolose». Eppure sulle paure di Dulan il giudice pone dei dubbi, soprattutto quando decide in merito alle esigenze cautelari. Per quanto riguarda il pericolo di reiterazione del reato “ricorre – scrive il gip – per entrambi gli indagati il concreto e attuale pericolo che se rimessi in libertà possano commettere altri delitti della stessa specie di quelli per cui si procede o con l’uso delle armi o di altri mezzi di violenza alla persona; tale pericolo è evincibile dalla esteama gravità dei fatti e delle circostanze dell’azione, alla cui base vi è per entrambe le parti un movente esile e squallido; invero sul punto si rileva che appare poco credibile che il Dulan abbia agito solo mosso dal timore del Buffone senza riuscire a trovare una via per sottrarsi alle sue pressioni e non invece per il misero compenso pattuito (500 euro, ndr); quanto al Buffone la motivazione dell’azione appare essere l’odio verso il cognato non determinato da comportamenti gravi dello stesso ma solo da spirito di sopraffazione e ingiustificato malanimo”. Il sopralluogo sul posto del delitto, davanti casa di Avato, Buffone e Dulan lo avrebbero fatto una settimana e un mese circa prima dell’omicidio. La pistola l’avrebbe fornita poi Buffone. «Ci incontrammo egli venne a prendermi a Corigliano Calabro. […] Mi portava in un parcheggio e sul lato destro c’era un giardino di uliveto, dicendomi che era ottimo per nascondermi». Nel corso dell’interrogatorio a Dulan vengono mostrati gli sms che avrebbe scambiato con Buffone. Risalgono alla sera dell’omicidio. In uno c’è scritto: «Crii usciamo un po’ stasera ci facciamo un giro». Secondo Dulan, Salvatore Buffone lo voleva avvisare che Avato era uscito. «E vediamo a che ora», gli risponde Dulan, intendendo chiedere a che ora sarebbe tornato Avato a casa. La riposta criptata sarebbe stata: «Se domani devi andare a lavorare non ti preoccupare massimo mezzanotte siamo a casa». Alle 22 Dulan prende la pistola, si mette in macchina e si dirige a San Cosmo Albanese. «Per raggiungere il luogo occorrono circa 15 minuti”, dice». «Quella sera ero ubriaco – dice il romeno al pm Maria Grazia Anastasia –. Non ricordo se avevo il telefono acceso o spento. Dopo quei messaggi con Salvatore non ho avuto altri contatti prima del 18 novembre. […] Quella sera mi ero sdraiato in terra e non ho visto nessuno transitare da quella strada. Dalla mia postazione riuscivo a vedere la macchina che arrivava». Dulan afferma che indossava un giubotto da lavoro scuro, pantaloni neri, guanti in lattice e un cappello di colore grigio abbassato sulla fronte. «Ho visto la macchina sopraggiungere – continua Dulan – . È sceso dalla macchina. Ho atteso che scendesse, sono andato verso di lui, volevo solo ferirlo. Non credo che lui mi abbia visto. Non l’ho visto in volto ricordo solo che era parzialmente pelato. Non ho fatto caso neanche agli indumenti che questi indossava. Prima di andare via l’ho visto in piedi per cui ritenevo solo di averlo ferito». Per il delitto Dulan avrebbe avuto in cambio 500 euro. Ma non erano soldi per il lavoro svolto. Erano, dice lui, «a titolo di rimborso spese per i miei movimenti». Dulan ribadisce la sua paura nei confronti di Buffone, dice di avere paura. Dice: «Salvatore mi ha minacciato dopo aver mancato l’obbiettivo”. Avrebbe dovuto compiere il delitto entro il 17 «altrimenti sarei finito male». Ma lui, dice, non lo sapeva che il 18 c’era il divorzio di Avato. E poi afferma di essersi sentito spiato, seguito, di avere ricevuto telefonate da numeri sconosciuti, di avere trovato la porta di casa aperta. E ha cominciato a dormire con la pistola sotto al cuscino.
Giacinto De Pasquale